Luigi D’Antonio, coordinatore Ai.Bi Campania: “Adottare è un gesto d’amore”
Luigi D’Antonio, ingegnere cavese, coordinatore per la regione Campania dell’associazione Amici dei Bambini, ci racconta la sua esperienza di genitore adottivo, l’impegno nell’associazione, le proposte legislative per limitare i costi per le famiglie, le adozioni nazionali ed internazionali.
Come si è avvicinato ad “Amici dei bambini”, il diritto di essere figlio?
Mi sono avvicinato ad Ai.Bi molti anni fa, circa 23 anni fa, quando, con mia moglie, decidemmo di esplorare la strada dell’adozione, non tanto come un ripiego, quanto più per un discorso di famiglia, di accoglienza verso un bambino non nato da noi. La prima fase, non è stata una fase tranquilla, perché spesso molte coppie che vivono in una condizione di sterilità o di ritardo rispetto alle attese, accolgono questa condizione con sofferenza. Nello step successivo, si metabolizza, qualcuno decide per la fecondazione assistita, altri, invece, intraprendono la strada dell’adozione.
Perché adottare?
Adottare secondo me, oggi posso dirlo, credo sia un atto di amore. Quest’atto di amore racchiude anche una risposta da dare una esigenza di milioni di bambini abbandonati che vivono una relata terribile. Noi con Ai.Bi, seguiamo le vicende di bambini fuori famiglia, i quali hanno un destino segnato. Quelli che sono accolti da istituti di accoglienza, a 18 anni fatalmente vengono mandati via e non avendo un riferimento, vengono intercettati dalla malavita, prostituzione, droga e per molti di essi, è morte sicura. Credo che ci sia necessità da parte di tutti, anche da famiglie che hanno figli biologici, di pensare a un discorso di accoglienza.
In base ad alcuni dati recenti, in Italia dal 2012, si parla di crisi delle adozioni. Secondo lei, com’è possibile fermarla?
Sono stati fatti diversi studi, anche l’Ai.Bi ha studiato il fenomeno e non abbiamo ritenuto che questo fenomeno, fosse esclusivamente confinato all’aspetto della crisi. Sicuramente adottare oggi comporta dei costi recarsi all’estero, c’è comunque un costo da sostenere ma c’è anche una problematica da superare una sorta di screening di passaggio al setaccio della nostra capacità di essere genitori di essere genitori non solo sanitario ma anche psicoattitudinali che comportano stress emotivo spesso gravato su coppie che già hanno già sofferto il dramma della sterilità, vengono ulteriormente messi sotto torchio. A questo proposito, stiamo avanzando una proposta di legge che tende, secondo noi, a risolvere il problema. Prima di tutto, rendendo, se non gratuito, cercando di limitare al massimo quelli che sono i costi, per sostenere un’adozione. Noi riteniamo che alcune procedure siano pesanti. Inoltre, bisognerebbe guidare le coppie, far capire loro che cosa vuol dire adottare, quali sono le problematiche, aiutandoli invece di escluderli dal processo adottivo come capita spesso in molti tribunali.
Tante storie a lieti fine, per bambini che trovano una casa e l’amore di una famiglia. Eppure, esistono anche bambini adottati che soffrono, crescono male, non riescono ad integrarsi. Secondo lei, perché? In cosa si sbaglia?
Io credo che questa situazione interessi tutti i genitori adottivi. Nessun bambino adottato risolve in maniera semplice la propria condizione di essere adottato. Mettiamoci nei loro panni, la cosa che tutti non è che questi bambini sono passati per l’abbandono, la madre biologica ha deciso di abbandonarli e questo grande trauma che caratterizzerà tutta la loro esistenza. Noi genitori adottivi possiamo cercare di mettere una copertura a questa cicatrice. La fase adolescenziale, è il momento più problematico per un adottato, perché c’è la ricerca della propria identità, una ricerca non tanto del paese, anche se molti chiedono di ritornare nel proprio paese, ma la volontà di capire da quale contesto provengono, e da chi provengono. L’abbandono di tipo naturale, quando i genitori muoiono, è preferibile rispetto alla volontà di privarsene.
Sono ancora poche le adozioni nazionali, rispetto a quelle estere?
Le adozioni nazionali sono legate a un problema che noi chiamiamo il mito di sangue. Oggi in Italia ci sono 30 mila bambini abbandonati. Spesso c’è una riluttanza a decretare lo stato di abbandono, di un genitore. Spesso capita che il genitore mandi una sola lettera nell’arco di un anno, solo per dire che quella relazione non si è mai interrotta. Per noi la relazione si costruisce con la quotidianità. Abbiamo una fascia critica, dopo i 12, 13 anni i bambini non vengono più adottati, perché oramai considerati troppo grandi, non solo in Italia, questo avviene anche all’estero. E per questi soggetti c’è un processi di accompagnamento, un avvio alla società e alle attività lavorative, limitando la possibilità di essere intercettati dagli squadroni della morte.
Adozioni da parte di coppie omosessuali: qual è la sua opinione?
Negativa. A questa domanda ha risposto mio figlio, dicendomi che non avrebbe mai voluto essere adottato da una coppia gay. Questo mi ha fatto riflettere perché le risposte spesso le diamo noi genitori, invece dovremmo chiedere ai nostri figli. Molti genitori vorrebbero scegliere il figlio, colore della pelle, nazionalità. Ai nostri figli non è chiesto se vogliono andare in Italia, in America, se vogliono genitori medici, loro accettano, accolgono e ci adottano. Bisognerebbe invece metterci nei loro panni, e farli esprimere pienamente la loro volontà.