scritto da Nino Maiorino - 03 Luglio 2024 06:33

Le Marce della Morte

Quando si parla di argomenti come questi la mente va ai processi di Norimberga, nei quali vennero giudicati i gerarchi Nazisti che, a loro difesa, hanno sempre sostenuto di essere stati militari fedeli alla patria e al Fuhrer, e non potevano non obbedire agli ordini.

In verità i processi ai nazisti coinvolti nella seconda guerra mondiale e nella Shoah furono diversi.

Il primo e più famoso si tenne dal 20 novembre 1945 al 1º ottobre 1946 e fu denominato “Processo dei principali criminali di guerra”: il Tribunale Militare Internazionale giudicò venti capi dei  nazisti rimanenti o ancora ritenuti in vita.

Il secondo gruppo di 12 processi fu aperto per criminali di guerra di grado inferiore e comprese anche il famoso “processo ai dottori”.

Ma le giustificazioni più comuni degli imputati furono di non potersi sottrarre alla disciplina militare che imponeva di eseguire gli ordini, senza discutere.

Ma quando avevano organizzato le cosiddette “Marce della Morte”, vien da chiedersi com’è che non si siano resi conto dell’orrore che stavano commettendo, portando migliaia di persone a morire, naturalmente (assideramento, infortuni di marcia, ecc.) o volutamente (esecuzioni sommarie per strada), solo per tentare di nascondere al mondo quello che i deportarti avevano sofferto durante la prigionia, ed evitare che essi lo riportassero ai loro liberatori.

Cos’erano le Marce della Morte?

Non si sa chi le abbia denominate così, probabilmente i prigionieri stessi che vi presero parte (e che sopravvissero abbastanza a lungo da parlarne), ma queste marce furono un vero e proprio fenomeno nella Germania tra la fine del 1944 e i primi mesi del 1945, fino alla fine della seconda guerra mondiale.

Con l’avvicinarsi delle truppe Alleate da un lato, e dell’Armata Rossa dall’altro, le SS dovettero evacuare i campi di concentramento più periferici per spostare gli internati verso il cuore della Germania.

E’ abbastanza comprensibile, visto che i campi di concentramento erano dislocati nel centro dell’Europa, e non solo in Germania, ma anche in paesi occupati, come Polonia, Cecoslovacchia e la succube Ungheria.

Verso la fine del 1944, gli spostamenti avvennero su rotaie o via nave.

Questo non li rendeva più agevoli: i prigionieri erano ammassati per giorni in vagoni merci o per il bestiame, senza cibo né acqua, costretti a espletare i bisogni fisiologici nello stesso posto dove avrebbero dovuto stendersi per dormire.

Erano trattati come se fossero già morti, senza alcun riguardo; quando i vagoni venivano aperti, i prigionieri restavano per giorni a diversi gradi sotto zero.

Le cose cambiarono in peggio nell’inverno tra il 1944 e il 1945, quando gli spostamenti motorizzati divennero quasi impossibili a causa della scarsità di carburante e dei bombardamenti che tagliavano le vie di comunicazione.

Fu allora che si iniziò a spostare i prigionieri a piedi, guardati a vista dalle SS, in quelle che divennero tristemente note come Marce della Morte.

L’ossessione dei tedeschi per questi spostamenti aveva tre motivi principali:

  1. Le autorità delle SS non volevano che i prigionieri venissero presi vivi dai nemici poiché avrebbero rivelato scomode verità sui campi di concentramento.
  2. I prigionieri potevano essere ancora utili nelle fabbriche di armamenti.
  3. I prigionieri potevano essere usati come ostaggi per negoziare condizioni di pace favorevoli e impedire il crollo del Terzo Reich.

Le SS avevano quindi l’ordine di non lasciarsi prigionieri vivi alle spalle.

Durante le marce, tutti coloro che cadevano, che non erano abbastanza forti per camminare, o che rallentavano, venivano uccisi immediatamente.

Non mancavano i tentativi di fuga, come molti testimoni riportano.

Gli spostamenti avvenivano spesso attraverso i boschi, dove era difficile individuare le lunghe colonne di disperati, e molti tentavano di scappare tra gli alberi; puntualmente le SS li sorprendevano e li fucilavano sul posto.

La sopravvissuta Lily Mazur Margules racconta di una ragazza, durante una marcia dal campo di lavoro di Stuffhof, che aveva le gambe completamente congelate a causa della marcia nella neve, e cadde morta: le SS non dovettero neanche spararle.

Una sua amica aveva le mani congelate, ormai nere; una guardia la notò, la portò via e le sparò.

Robert Mendler, polacco, racconta che nell’inverno del ’45 si trovava su un vagone merci scoperto, in partenza da Gleiwitz, e vi restò per 10 giorni con migliaia di altri prigionieri, al gelo e senza cibo né acqua; per sopperire alla fame, i sopravvissuti iniziarono a mangiare chi moriva anziché buttarne i corpi.

Sam Itzkowitz, che sopravvisse a una marcia della morte da Landsberg, disse che il suo gruppo viaggiò quasi due settimane nella neve, e che i prigionieri dormivano nelle strade, all’aperto, come animali, mentre sui cieli sopra di loro si sentivano aerei e rumori di bombardamenti ovunque.

David Friedman, un sopravvissuto di Gleiwitz, un sotto-campo del complesso di Auschwitz-Birkenau, dipinse la marcia della morte che dovette affrontare (l’autore è l’uomo con gli occhiali) e in proposito disse: “Io non ero in grado di camminare e non avrei mai raggiunto il campo se non fosse stato per il medico francese Orenstein e altri due amici che si alternarono nell’aiutarmi. Qualche giorno dopo, fummo liberati dai russi”.

Ciò che sorprende particolarmente del racconto di Friedman è la sua gratitudine per essere arrivato in un altro campo di concentramento: la marcia doveva essere un tale inferno che l’arrivo nei lager, in confronto, doveva apparire ai prigionieri come un sollievo.

Le forze armate tedesche si arresero incondizionatamente ad ovest il 7 maggio e ad est il 9 maggio 1945: così cessarono anche le famigerate “marce”.

 

 

 

 

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Classe 1941 – Diploma di Ragioniere e perito commerciale – Dirigente bancario – Appassionato di giornalismo fin dall’adolescenza, ha scritto per diverse testate locali, prima per il “Risorgimento Nocerino” fondato da Giovanni Zoppi, dove scrive ancora oggi, sia pure saltuariamente, e “Il Monitore” di Nocera Inferiore. Trasferitosi a Cava dopo il terremoto del 1980, ha collaborato per anni con “Il Castello” fondato dall’avv. Apicella, con “Confronto” fondato da Pasquale Petrillo e, da anni, con “Ulisse online”.

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