2 giugno 1946, la “prima volta” delle donne italiane al voto
Fin dalle prime ore di quella mattina soleggiata i seggi furono presi d’assalto e le file per apporre quella croce e quel nome erano lunghissime
La “prima volta” non si scorda mai, specialmente se, per giungere a quella prima volta, si sono dovuti aspettare tempi biblici. E quella prima volta del 2 giugno 1946 deve essere stata proprio speciale per 13 milioni di donne italiane che finalmente potevano esercitare il diritto di voto. In realtà una sorta di prova generale già ci fu il 10 marzo dello stesso anno quando, in una Nazione semidistrutta dalla guerra, si svolsero le prime elezioni amministrative in 436 comuni di alcune Regioni italiane dall’avvento della dittatura fascista e, per la prima volta in Italia, donne di qualsiasi estrazione sociale ebbero facoltà di votare. Se quello fu un rodaggio parziale, seppur entusiasmante giacché l’affluenza femminile fu dell’89%, il battesimo di fuoco, l’entrata ufficiale delle Italiane nel diritto di votare e di essere votate fu il 2 giugno 1946.
Fin dalle prime ore di quella mattina soleggiata i seggi furono presi d’assalto e le file per apporre quella croce e quel nome erano lunghissime, alcune testimoni ricordano che dal primo pomeriggio aspettarono fino a mezzanotte; i vestitini leggeri e colorati delle più giovani, si confondevano con i tanti abiti a lutto delle donne più anziane. Si votava, si doveva decidere tra repubblica e monarchia, si doveva eleggere l’Assemblea Costituente. Nessuno meglio della giornalista Anna Garofalo seppe descrivere l’atmosfera che si respirava in quel frangente storico. In “L’italiana in Italia” scritto per Laterza nel ’56 così si espresse: “Lunghissima attesa davanti ai seggi. Sembra di essere tornati alle code per l’acqua, dei generi razionati. Abbiamo tutte nel petto un vuoto da giorni d’esame, ripassiamo mentalmente la lezione: quel simbolo, quel segno, una crocetta accanto a quel nome. Stringiamo le schede come biglietti d’amore. Si vedono molti sgabelli pieghevoli infilati al braccio di donne timorose di stancarsi e molte tasche gonfie per il pacchetto della colazione.…”
C’era molta confusione, l’organizzazione della macchina elettorale lasciava a desiderare, ma nulla scalfiva la gioia di queste donne con l’eco dei bombardamenti nelle orecchie e in attesa in un evento che avrebbe portato un cambiamento epocale nella storia dell’Italia. Moltissime casalinghe non avevano documenti personali e dovevano votare con la testimonianza di qualcuno che le conoscesse. Tante non sapevano né leggere, né scrivere. Documenti d’identificazione, certificato elettorale, espressione del voto di lista e del voto di preferenza, chiusura e riconsegna della scheda al Presidente: tutte le operazioni degli uffici elettorali furono spiegate e illustrate con parole e con disegni. La mancanza di mezzi di trasporto, le strade ancora interrotte o comunque impraticabili a causa dei distruzioni belliche avrebbero potuto essere un deterrente, ma così non fu. Si temeva l’astensionismo femminile, invece l’89,2% delle aventi diritto si recò alle urne.
All’Assemblea costituente furono elette ventuno donne su 226 candidate, pari al 3,7%. E che saranno ricordate come madri costituenti. Nove per la Dc, nove per il Pci, due per il Partito socialista e una per l’Uomo qualunque. Si trattava per lo più di donne della media borghesia, provenienti in prevalenza, ma non esclusivamente, dal centro nord. Quasi tutte laureate, molte di loro insegnanti, qualche giornalista-pubblicista, una sindacalista e una casalinga, molte avevano preso parte alla Resistenza.
Le Madri della Costituzione, è doveroso ricordare i loro nomi: Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio, Angelina Merlin, Bianca Bianchi e Ottavia Penna Buscemi.
Il 2 giugno 1946, sole nel segreto della cabina elettorale le Italiane, professioniste, contadine e operaie, donne di diverse generazioni e classi sociali furono libere di decidere da solo e di poter dire la loro dopo tanto silenzio imposto. Tutte senza rossetto per timore di sporcare e invalidare la scheda che doveva essere umettata e incollata.
All’indomani delle elezioni, un noto fotoreporter, Federico Patellani, scelse il volto di una giovane donna per lanciare il messaggio: “È nata la Repubblica”. Un volto sorridente, pieno di luce, incorniciato da capelli neri ondulati che le sfiorano le spalle. È una giovane come tante, indossa un vestito di cotone di poche pretese. La giovane donna (il suo nome è Anna Iberti, futura moglie di Franco Nasi, giornalista de Il Giorno) guarda con fiducia in avanti, volge lo sguardo al futuro, incarnando così le speranze riposte dalle neo elettrici nel nuovo Stato Italiano e nelle neo elette deputate.