Dal Corriere del Mezzogiorno del 15 aprile abbiamo ricavato, sintetizzandola, la vera storia della famosa poesia “ ‘A livella ”, scritta dal Principe della risata, Antonio De Curtis, in arte Totò.
Che sia stato un fuoriclasse è noto a tutti, com’è noto che abbia avuto umili origini.
Era il figlio non riconosciuto nato da una relazione tra la madre, Anna Clemente, e Giuseppe De Curtis il quale, per tenere segreto il legame, inizialmente non lo riconobbe, così da risultare per l’anagrafe “Antonio Clemente, figlio di Anna Clemente e di N.N.”
Solitario e di indole malinconica, crebbe in condizioni estremamente disagiate e fin da bambino dimostrò una forte vocazione artistica che gli impediva di dedicarsi allo studio.
Ma Totò non si crucciò molto di ciò in quanto era benvoluto e apprezzato dai suoi compagni di scuola che egli intratteneva con piccole recite, durante le quali si esibiva con battute spiritose e smorfie.
Quando era solo osservava di nascosto le persone, e questo suo metodo di studio lo avrebbe aiutato nella caratterizzazione dei personaggi che avrebbe poi creato.
Il Corriere del Mezzogiorno, in occasione della commemorazione della sua data di morte (15 aprile 1967), ha raccontato cose che non tutti sanno della vita di questo grande e artista, comico, musicista, che ha fatto ridere di più gli italiani e che, da bambino, in una catacomba, aveva scoperto la filosofia della ironia sulla vita e sulla morte.
Totò è l’unico artista che ha avuto tre funerali: a Roma, a Napoli e nella sua Sanità, il rione che lo vide nascere.
E ha mille storie, tutte più o meno conosciute.
Quella che vogliamo raccontare è una delle meno note e che è legata alla creazione della sua poesia più famosa: ‘A Livella.
Abbiamo detto che Antonio Clemente era nato, da padre ignoto, nel 1898 in Via Santa Maria Antesaecula, non molto lontano dalle Catacombe di San Gaudioso che si trovano sotto la Basilica Santa Maria della Sanità.
Il piccolo Totò (è il soprannome che gli aveva dato la mamma), andò a fare il chierichetto per qualche mese nella grande chiesa quando aveva all’incirca dieci anni.
E lì apprese, più che il catechismo e il Santo Vangelo, molte cose sulla morte.
Il gioco nelle catacombe – Qualche volta Totò giocava a nascondino con gli altri bambini in un luogo carico di magia e di mistero: i cunicoli sotterranei che i grandi chiamavano le catacombe di San Gaudioso.
Lì andava anche, su ordine del parroco, a recuperare le candele e il vino per la messa.
Totò non aveva paura e rimaneva estasiato dagli affreschi sulla pietra grezza delle pareti. Scheletri disegnati su cui veniva conficcato un teschio vero.
Il perché di tutto questo, il futuro grande attore non lo sapeva ancora.
Nel Seicento, il sito ospitava sepolture riservate agli aristocratici e agli ecclesiastici, realizzate secondo un procedimento importato dalla Sicilia dove i Domenicani lo praticavano da anni: quello della “scolatura”.
Secondo la credenza religiosa permetteva di presentarsi davanti al giudizio di Dio senza impurità, che venivano fatte fuoriuscire dal corpo con i liquidi della decomposizione, attraverso una pratica particolare.
Il cadavere veniva messo seduto in una nicchia scavata nel tufo e lì se ne attendeva la decomposizione.
Quando il corpo si gonfiava, entravano in scena particolari necrofori, ovviamente sempre domenicani, che pungevano la salma facendone uscire i liquidi impuri.
Da qui il detto napoletano “’O schiattamuorto”, o l’augurio “puozza sculà”, che in origine non era così cattivo.
Tradotto stava a significare, più o meno: «Che tu possa presentarti purificato agli occhi del Signore»; con il passare del tempo il significato è stato completamente stravolto.
Alla fine del procedimento i teschi venivano apposti a vista nelle pareti dell’ambulacro, mentre il resto del corpo era affrescato, generalmente con gli abiti e gli attrezzi del mestiere che rappresentavano la posizione sociale del defunto.
Il disegno che ha ispirato Totò: lo scheletro senza scettro e libro.
Gli affreschi erano stati realizzati da Giovanni Balducci, artista che rinunciò al compenso per essere “scolato” e sepolto tra gli aristocratici nelle Catacombe di San Gaudioso.
Ed è uno dei suoi disegni che ha ispirato Totò per ‘A Livella: si vede uno scheletro “nudo”, senza orpelli, ai suoi piedi la clessidra del tempo, un libro, una corona e uno scettro, tutte cose di cui non ha bisogno.
La cultura, la ricchezza, il potere non hanno senso con la morte che rende tutti uguali, appunto “livella”.
Un quadro che colpì molto il piccolo Totò e che più volte ritornava con prepotenza nei suoi pensieri.
Poi nel 1964 pubblicò le parole che quell’affresco gli avevano fatto venire in mente «all’approssimarsi della meta», la sua poesia più famosa, una delle più importanti della letteratura napoletana.
Oggi una lapide di marmo con scolpito in bassorilievo il testo di ‘A Livella si trova davanti alla cappella di Totò, a pochi metri dal Cimitero degli uomini illustri a Napoli.
La poesia è una metafora della vita e della morte che è come una livella (lo strumento usato dai muratori per mettere sullo stesso piano le superfici) che tutto appiana: ricchezza e povertà, diversità sociali, gioia e dolore.
A spiegarlo, negli ultimi versi, è uno dei protagonisti, “Esposito Gennaro netturbino” che, rivolgendosi al defunto ricco marchese “eroe ardimentoso di mille imprese”, irritato per la eccessiva vicinanza tra le loro tombe gli dice: «…Suppuorteme vicino, che te ‘mporta? Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive: nuje simmo serie…appartenimmo à morte!».
Il museo promesso da decenni e che non c’è
A 57 anni dalla morte, Totò aspetta ancora il suo museo.
Promesso negli anni dalle varie amministrazioni che si sono succedute, non è stato ancora realizzato.
I suoi cimeli, dai vestiti di scena agli occhiali, dalle lettere alle foto, sono in giro per l’Italia e la famiglia sarebbe felice di donarli a un luogo che lo ricordi.
Ma la politica non sa ridere e dimentica.
Ma non i napoletani che a lui hanno dedicato decine di murales, un intero vicolo dei Quartieri Spagnoli con il suo volto, e scritte illuminate con i versi delle sue canzoni e delle sue poesie.
Caro Totò, siamo uomini o caporali?