La donna che dipinse il Nobel di nero
Sono trascorsi trentun anni da quando questa scrittrice, scomparsa un quinquennio fa, è stata la prima donna afroamericana a ricevere il premio Nobel per la Letteratura nel 1993
Per questa Festa della Donna in un inoltrato Terzo Millennio, io che da sempre sono stato affascinato e fagocitato dalla cultura afroamericana, permettemi di celebrare Toni Morrison.
Sono trascorsi trentun anni da quando questa scrittrice, scomparsa un quinquennio fa, è stata la prima donna afroamericana a ricevere il premio Nobel per la Letteratura nel 1993. Memorabile è stato il discorso di ringraziamento durante il quale declamò una favola su una vecchia cieca ma saggia e sul potere della lingua, capace di chiarire e offuscare, opprimere e liberare. Lo ‘speech’ riprendeva i temi del razzismo, della storia folkloristica e del linguaggio, argomenti che hanno accompagnato l’autrice in tutte le sue opere.
Sin dall’età della mia giovinezza sono stato attratto dalla letteratura afroamericana, di autori come Richard Wright. James Baldwin, Alex Haley e tanti altri, autori che hanno ispirato le mie opere di saggistica sulla musica dei neri d’America, e proprio la Morrison, come editor della casa editrice Random House di New York, ha permesso ad un vasto numero di lettori di conoscere i migliori talenti contemporanei di tale letteratura. Scrittrice di grande spessore, capace di analizzare in ogni più piccolo dettaglio la perdita d’identità dei neri nei momenti più salienti della storia americana, le sue opere trasudano anche quella tipologia di femminismo che indaga la psiche delle donne nelle condizioni di emarginazione e sfruttamento e, a tal uopo, è impossibile non menzionare “Amatissima” del 1987 che ha permesso alla scrittrice di vincere il premio Pulitzer.
Nelle pieghe narrative di Toni Morrison si reiterano con insistenza alcuni temi: l’importanza della comunità, il valore della memoria, la forza delle donne. Dai suoi testi emergono chiaramente la capacità di indagare nel profondo dell’animo umano e la volontà di descrivere il mondo dal suo punto di vista di afroamericana e di donna. Tutto ciò in opposizione dialettica tanto alla cultura dominante bianca quanto al potere maschile, anche all’interno della comunità nera. La sua scrittura ha mostrato una diversa prospettiva della società e della storia degli afroamericani e ha dato dignità alle vicende strazianti della sua gente. Le donne, grandi protagoniste dei suoi romanzi alle prese con una duplice oppressione, quella del razzismo e quella del maschilismo, vengono descritte e indagate in una molteplicità di aspetti: il loro ruolo nella società afroamericana, l’amicizia tra donne, la sorellanza, il rapporto uomo-donna, la maternità, la crescita e, non ultima, l’autonomia personale.
A cinque anni dalla sua morte mai è così attuale, alla luce delle discriminazioni sanremesi su Geolier, il suo messaggio sulla diversità. A tal uopo consiglio le due raccolte di saggi che sono altrettanto differenti tra loro: “L’origine degli altri”, introdotto in Italia da una prefazione di Roberto Saviano, che allarga lo sguardo dalla società americana al mondo intero, rivelando il meccanismo che spinge le società a individuare un “altro” da isolare e considerare nemico, e mostra tutta la pericolosità e la disumanità di questo processo; e “L’importanza di ogni parola”, che riunisce numerosi saggi scritti nell’ultimo mezzo secolo, che permette di cogliere il pensiero dell’autrice in tutta la sua portata. Un libro in cui appaiono riflessioni sulla scrittura, l’arte, la letteratura, i musei e il valore della cultura; sulla libertà di stampa, su razzismo e fascismo, schiavitù e globalizzazione.
Tuttavia Toni Morrison ci conduce anche a esplorare la struttura dei suoi romanzi, ce ne rivela strategie, aspirazioni e lacune; e soprattutto trasmette la sua fiducia nell’umanità e nel potere salvifico della scrittura, che in questo particolare momento di conflitti può esserci di grande consolazione. Di grande impatto rimane il passo: “Moriamo. Forse è questo il significato della vita. Ma produciamo il linguaggio. E forse è questa la misura delle nostre vite”.