Cava de’ Tirreni, a colloquio con Flora Calvanese: “Il futuro è cultura, turismo, innovazione, artigianato di qualità, ristorazione legata ai prodotti del territorio”
Il mondo è cambiato e cambia continuamente in modo vorticoso. Se non si accetta questo non si capisce perché nessuna città può chiamarsi fuori dalle dinamiche globali. In questo contesto va costruito il futuro cercando nuovi obiettivi senza rimpiangere il passato
Il viaggio di Ulisse online sullo stato dell’arte della nostra città continua. E’ la volta di un politico di razza: Flora Calvanese. Laureata in Giurisprudenza, funzionaria Inps in pensione, deputato dal 1983 al 1992, capo della segreteria di Walter Veltroni vicepresidente del Consiglio del primo Governo Prodi nel 1997/98, consigliere comunale con il sindaco Fiorillo sindaco, primo mandato, e successivamente, nel secondo mandato di Fiorillo, assessore alla cultura e all’urbanistica per due anni dal 1998 al 2000. Presidente dell’associazione di donne La Rosa di Gerico e componente del CoBeCo comitato Beni Comuni, costituito da associazioni e singoli cittadini nel 2023 con l’intento di difendere i beni monumentali e di valore della città, e di far crescere la partecipazione e il coinvolgimento dei cittadini nella gestione del patrimonio pubblico della città.
“Il limite più grave dei cavesi è quello di non avere attenzione alle competenze, si preferisce l’amico, il parente e non si sceglie il più bravo”
Guardandola da un punto di vista politico, economico e sociale, come la descriverebbe oggi la nostra città?
Cava de’ Tirreni è bella, vivibile,un centro storico che con i suoi portici è unico al sud, una cerchia di colline ancora gradevoli, nonostante gli assalti della speculazione edilizia. Con limitati episodi di emarginazione sociale, ma caratterizzata da un forte associazionismo che rinsalda l’aggregazione e il senso civico. Ha alcune aziende importanti come la Di Mauro, la cartiera Ariete che ora si amplierà con l’acquisizione di Cofima, Medea, un Tabacchificio, e un discreto numero di piccole attività, anche ceramiche. Un commercio che subisce in modo evidente l’assalto della globalizzazione, molti negozi sono franchaising di marchi nazionali o internazionali, subisce la concorrenza di Amazon e degli store cinesi con prezzi assolutamente competitivi. Ma se oggi dovessi scegliere una città in cui vivere, continuerei a scegliere Cava de’ Tirreni. Napoli è splendida, ma invivibile, Salerno è troppo cementificata e oppressa dal traffico, e ha abitanti disinteressati della cosa pubblica e propensi a delegare al potente di turno, che da 40 anni purtroppo è sempre lo stesso, la vicina costiera amalfitana bellissima, ma i collegamenti sono difficili. Quindi i miei genitori scelsero Cava de’ Tirreni 60 anni fa ed io oggi confermo questa felice scelta. Politicamente i cavesi sono quasi sempre scontenti del sindaco di turno, e alla ricerca di un politico che la rilanci, ma ricordo che anche di Abbro dicevano peste e corna.
“I peggiori nemici di Cava sono quanti continuano a dire che abbiamo perso il Tribunale, l’Inps”
Guardando indietro, quali le differenze? Cosa ha perso?
Il mondo è cambiato e cambia continuamente in modo vorticoso. Se non si accetta questo non si capisce perché nessuna città può chiamarsi fuori dalle dinamiche globali. In questo contesto va costruito il futuro cercando nuovi obiettivi senza rimpiangere il passato. I peggiori nemici di Cava sono quanti continuano a dire che abbiamo perso il Tribunale, l’Inps, che alla stazione non fermano più i treni per Roma, abbiamo perso ostetricia e forse perderemo anche l’ospedale. Questi ragionamenti non aiutano e non trovano soluzioni ai problemi che ci sono. Cava forse un tempo godeva di una situazione di vantaggio perché il circondario viveva in situazioni di maggiore arretratezza. E’ il meridione che sta perdendo complessivamente in termini di servizi, di sanità, di possibilità di lavoro per i giovani. Questo è il nocciolo della questione, nessuno si salva da solo se tutta la società arretra, e il sud sta arretrando, quindi tutti stiamo perdendo qualcosa.
Ci dice quali sono a suo avviso i pregi e i difetti di questa nostra città?
I pregi sono la collocazione in una bella valle alle spalle della costiera amalfitana, il senso civico e l’operosità dei cavesi, un patrimonio culturale e monumentale sopravvissuto a vari assalti. I difetti sono quelli tipici della vita provinciale, cioè l’invidia, la difficoltà a fare squadra, la competizione portata a volte solo all’obiettivo di bloccare chi fa qualcosa se incapaci di fare altrettanto.
Non crede che un limite dei cavesi sia di vivere troppo di un passato glorioso per sfuggire al presente?
Si l’ho appena detto. E’ un atteggiamento perdente perché non coglie la dinamicità del mondo e non consente di cogliere le opportunità che i cambiamenti portano. Ma c’è un altro limite, secondo me ancora più grave, quello di non avere attenzione alle competenze, si preferisce l’amico, il parente e non si sceglie il più bravo.
“L’eventuale approvazione delle norme sull’autonomia differenziata non aiuta, anzi sarebbe il colpo di grazia per le nostre comunità”
Possiamo, sempre come città, recuperare il terreno perduto? Ritrovare un ruolo e una prospettiva?
Certo che Si. Ma bisogna intendersi su cosa si vuole, darsi degli obiettivi condivisi che non vengano cambiati dal sindaco di turno, bisogna fare squadra. Dobbiamo anche capire che ci sono fenomeni che penalizzano tutto il sud Italia, come lo spopolamento che sottrae risorse umane fondamentali per lo sviluppo di una comunità. Se vanno via i giovani, e vanno via soprattutto quelli scolarizzati, laureati, una comunità non ha futuro e sicuramente l’eventuale approvazione delle norme sull’autonomia differenziata non aiuta, anzi sarebbe il colpo di grazia per le nostre comunità.
“Siamo una bella città, unica con i portici, con un monumento nazionale che è l’Abbazia Benedettina dell’anno mille…”
Quali dovrebbero essere i secondo lei le direttrici di marcia per assicurare alla nostra città un futuro di crescita e sviluppo?
Salvaguardia delle attività produttive residue, difesa del territorio e del paesaggio, dei monumenti, insomma della bellezza della città. Poi imparare a lavorare di squadra con le altre realtà limitrofe. Il futuro è cultura, turismo, innovazione, artigianato di qualità, ristorazione legata alla filiera corta dei prodotti del territorio, e intendo territorio non solo limitato a Cava ma ragionare sempre in termini di aree vaste. Insomma il discorso è sempre lo stesso e va avanti da anni: siamo una bella città, unica con i portici, con un monumento nazionale che è l’Abbazia Benedettina dell’anno mille, siamo al centro dei uno dei posti più belli d’Italia, tra la Costiera Amalfitana, le aree archeologiche che fanno incetta di visitatori come Pompei e Paestum. II nostro futuro è in questo circuito. Se aumentano le presenze in città per turismo o eventi culturali, ne trarranno beneficio sia il commercio che la ristorazione. Possiamo diventare un hub culturale con eventi, mostre, spettacoli capaci di attirare visitatori. Abbiamo anche spazi idonei per fare cultura in grande stile. Ma dobbiamo cominciare a pensare in grande. Non possiamo permetterci di tenere chiusi spazi come la Mediateca, villa Rende, o sottoutilizzati come San Giovanni, o inutilizzato il teatro comunale, o svilito Santa Maria del Rifugio trasformata in una scuola o dimenticati come la Manifattura Tabacchi ancora nelle mani di Manifatture Sigaro Toscano. Pensare in grande significa smetterla di cercare di dare in gestione spazi come la Mediateca a operatori non all’altezza o san Giovanni ad un ristorante che disturba le attività culturali. Quindi facciamo nascere, come avviene nelle grandi città turistiche, una Fondazione Culturale costituita dal Comune, con altri enti come Regione, Provincia, Università, e operatori privati e creiamo un progetto complessivo, una proposta che riguardi i contenitori pubblici, anche quelli piccoli di recente restaurati come il Castello. Un progetto che non parli solo ai cavesi, ma sia attrattore di un territorio vasto con significative presenze turistiche.
“La società civile deve smettere di delegare la cosa pubblica ad una politica che troppo spesso sta diventando terreno di improvvisazione o, peggio, di opportunismo”
E la società civile può e come giocare un ruolo, anche in politica e nell’amministrazione, per rilanciare la città nel suo insieme?
La società civile ha una funzione fondamentale, perché deve smettere di delegare la cosa pubblica ad una politica che troppo spesso sta diventando terreno di improvvisazione o, peggio, di opportunismo.
La società civile fa la differenza anche quando si batte per obiettivi di tutela dei beni comuni, senza ambizioni elettorali, ma solo per civismo, come stiamo facendo nel CoBeCo, comitato beni comuni, costituito da associazioni e singoli cittadini, richiamando l’attenzione sul rischio di vendita di beni di valore storico, culturale, identitario della città. Lo scopo è quello di non tacere, non subire, non accettare scelte sbagliate, ma battersi per il bene comune.
Questo civismo aiuta anche la politica a svolgere il proprio ruolo. Da dove cominciare? In consiglio comunale ci sono personaggi che hanno indossato tutte le casacche pur di rimanere sempre a galla. E già vediamo, in vista delle prossime elezioni che ci saranno tra circa due anni, grandi manovre di chi vuole salvarsi a tutti i costi. Questo fenomeno di trasformismo purtroppo riguarda tutti gli schieramenti ed è il principale male di questa città, non votiamo questi camaleonti. Inoltre non aspettiamo che i vari candidati sindaco espongano i propri programmi elettorali. Ma mettiamo al centro le richieste della società civile, della cittadinanza, con le quali i politici devono confrontarsi.
L’invito alla cosiddetta società civile è quello di scendere in campo, di non delegare, di sporcarsi le mani per difendere la propria città.
Per finire, torneremo “grandi” o no? Se sì, come?
Nessuno potrà essere “grande” in un Sud impoverito, privato dei suoi figli che vanno a lavorare altrove, o senza i livelli minimi di assistenza nella sanità, o senza una scuola o servizi pubblici efficienti. Questo è il punto in cui siamo, una svolta epocale, di cui pochi hanno compreso la portata.
Ma nonostante le difficoltà, bisogna costruire un progetto di rilancio della città condiviso soprattutto dai cavesi, quindi non inventato, non calato dall’altro, ma che nasca dalle esigenze reali dei cittadini. Un progetto che sia supportato dalle forze politiche, almeno da una grossa parte di esse, in modo che si eviti il rischio che ogni nuovo sindaco lo azzeri, e pensi di ricominciare cambiando obiettivi, spostando risorse da un’opera all’altra. Forse la mia è un po’ un’utopia, ma continuo ad essere ottimista se i cavesi scriverannol’agenda per la rinascita della città, sfruttando i propri talenti e le proprie competenze, senza mediazioni.
La signora calvanese appartiene alla vecchia politica che ha portato solo danni.
L’allontanamento dei cittadini dalla politica è un fatto ormai diffuso che lascia spazio alle peggiori consorterie … e la politica è quella che ormai vediamo tutti, difficile da comprendere senza l’ottica degli interessi personali.
Non resta che sperare in un maggior coinvolgimento dei cittadini nella programmazione di un futuro vivibile anche per i nostri figli.
Ben vengano proposte ottimistiche come quella della signora Calvanese e ben vengano tutte le possibilità democratiche di partecipazione alla vita pubblica.
La Società civile? E’ servita nel momento bisognoso e, poi, ignorata. Tant’è che oggi questi nuovi soggetti hanno imparato il mestiere pensando ai propri interessi!
Condivisibile nelle grandi linee ma -in tanti settori- non si è all’anno zero. Semplicemente ci sono già filiere virtuose completamente ignorate e sottovalutate. Da anni -queste filiere- non trovano spazio (se non autoreferenziale) nei programmi elettorali.
Occorre la “bussola” per andare avanti e non navigare a vista. La bussola è l’istituzione di un Ufficio di Marketing Territoriale.