L’ANGOLO DELL’ANIMA La rottura della simbiosi: influenze psicologiche e culturali
Soprattutto nelle relazioni amorose, la rottura della simbiosi sfocia spesso nella violenza, nei femminicidi e nelle continue mortificazioni della libertà delle donne
Le varie forme di simbiosi relazionale, descritte negli articoli precedenti, possono avere un esito drammatico quando si trovano a dover affrontare la separazione voluta da uno dei membri della coppia. Soprattutto nelle relazioni amorose, la rottura della simbiosi sfocia spesso nella violenza, nei femminicidi e nelle continue mortificazioni della libertà delle donne.
L’attualità del fenomeno ci indurrebbe a ricercare cause specifiche nella sociologia, nella psicologia, nella storia o in altre scienze, quasi come per scansarci da ciò che ci riguarda personalmente nelle nostre relazioni affettive, da ciò che c’è di non detto e di implicito nella nostra vita relazionale, sessuale e affettiva e, detto in altre parole, per non riconoscere le nostre responsabilità nella riproduzione di un modello culturale dannoso fondato sull’idea che i rapporti familiari, sessuali e sociali sono regolati dalla proprietà maschile del corpo femminile.
Una breve premessa per chiarire che non è solo la forma simbiotica della relazione amorosa a sfociare in maniera più o meno lineare nella violenza, ma ogni relazione ha in sé qualcosa di culturale e psicologico che se non viene pensato, vissuto e simbolizzato dai membri della coppia può avere gli stessi effetti negativi. Questo “qualcosa” è in stretto contatto con ciò che la relazione simbiotica mette continuamente da parte: la possibilità della perdita e della separazione, l’esperienza dolorosa del lutto.
Volendo immaginare la dinamica relazionale attivata dalla fine di un rapporto possiamo intravedere due possibilità: la prima è l’apertura al dolore della perdita, il riconoscimento di un “fallimento” relazionale non dovuto alle caratteristiche soggettive degli ex-amanti, ma alla scelta e alla libertà dell’altro che, anche se ci mette di fronte alla solitudine e alla nostalgia, è necessario accettare per non portare con sé solo gli aspetti negativi della rottura; la seconda possibilità, quella più legata alla relazione simbiotica, esclude il riconoscimento della perdita e cerca di negarla attraverso l’ossessività, lo stalking e la violenza, frutto stesso della dipendenza assoluta, della simbiosi e di un profondo vuoto interno.
È proprio quest’ultimo che imprigiona chi sente il bisogno di uccidere l’altro in una gabbia narcisistica e depressiva, costruita su un pensiero ben sintetizzato da Massimo Recalcati: “non sopporto di non essere più tutto per te, dunque ti uccido perché, in realtà, non posso riconoscere di non essere niente senza di te”.
In una visione cognitivista, l’avvicinarsi alla rottura della relazione spinge la coppia simbiotica a vivere un conflitto tra lo scopo di mantenimento del rapporto amoroso e la rabbia o protesta per ottenere qualcosa di migliore; questi due termini non riescono ad essere sintetizzati (fatti comunicare tra loro) portando così ad una situazione relazionale in cui si alternano vari pensieri e sentimenti:ad esempio, la consapevolezza del male che si prova a stare in quel rapporto, la tendenza a voler affrontare ed evitare la separazione e una valutazione su di sé che porta a sentirsi incapaci di terminare quel rapporto. Anche per queste ragioni l’accettazione della perdita e del lutto diviene difficoltosa fino al punto che la rabbia e il bisogno di controllo si pervertono in azioni estreme e violente.
Da questo punto di vista è possibile sfatare anche una razionalizzazione semplicistica che tende a ridurre gli episodi di violenza ad uno schema vittima-carnefice: la rottura di una relazione – simbiotica o meno – fa vivere una forte rabbia che se viene nascosta nella sottomissione o nella ricerca ossessiva dell’altro può trasformarsi in un’escalation di violenza molto pericolosa.
Le dinamiche psicologiche del funzionamento simbiotico non possono essere usate per coprire le influenze culturali, come accennato in precedenza. Infatti, a fare da supporto alle azioni violente sono tutte quelle idee che – senza farci intimidire dall’abuso che si fa del termine – dovremmo chiamare patriarcali.
Il nucleo ideologico di un sistema patriarcale si struttura sull’illusione di una donna per natura incapace o inferiore sul piano morale, cognitivo e sociale e che, per questo, non può che essere un oggetto passivo dell’uomo. Per concludere, si capisce bene come quest’idea patriarcale insieme ad un funzionamento simbiotico può determinare i vari fatti di cronaca nera giornalieri, episodi che, sia nel modo in cui vengono raccontanti mediaticamente sia nel modo in cui si sono creati al livello relazionale, sono accomunati dal valor far scomparire l’espressione della soggettività femminile.
Bibliografia
Pugliese E., Saliani A. M., Mancini F. (2019), Un modello cognitivo delle dipendenze affettive patologiche in “PSICOBIETTIVO” 1/2019, pp 43-58, DOI: 10.3280/PSOB2019-001005
Recalcati M. (2023), Il peso del fallimento e la ferocia di Narciso, la Repubblica, 24 Novembre 2023.