scritto da Eugenio Ciancimino - 03 Dicembre 2023 08:00

Riforme e caciare in vista di rose e spine elettorali 

Discussioni su Autonomie, Giustizia, poteri e stabilità dell’Esecutivo hanno attraversato l’intero arco della storia repubblicana. Nelle versioni incardinate ora in proposte di riforme, esse riguardano l’attuazione nelle Regioni dell’Autonomia differenziata, la riforma del CSM e la separazione delle carriere tra giudici e pm, l’introduzione del Premierato

foto tratta dal profilo Fb della Camera dei Deputati

Al di là delle caciare politicanti in vista delle elezioni europee e delle derive ideologiche, i temi delle riforme messe in cantiere dal Governo destrorso sono stati presenti sin dalla Costituente nel confronto fra diverse culture politiche.

Discussioni su Autonomie, Giustizia, poteri e stabilità dell’Esecutivo hanno attraversato l’intero arco della storia repubblicana. Nelle versioni incardinate ora in proposte di riforme, esse riguardano l’attuazione nelle Regioni dell’Autonomia differenziata, la riforma del CSM e la separazione delle carriere tra giudici e pm, l’introduzione del Premierato.

Nel primo caso si tratta di tradurre e rendere operativo il combinato disposto del Titolo V della Costituzione; nel secondo si parla delle pagelle sull’operato dei singoli magistrati e della modifica del titolo IV relativo all Ordinamento giudiziario e del seguente articolato; nel terzo si prefigura l’elezione del Presidente del Consiglio dei Ministri conferita direttamente dall’esito delle urne espresso dai cittadini, al posto della designazione da parte del Capo dello Stato.

La proposta sull’Autonomia differenziata contiene criticità ed opportunità: si contesta, da parte delle opposizioni, e non solo, il rischio di rompere l’unità della Nazione nella fruizione degli stessi diritti e di approfondire il divario tra le aree economicamente svantaggiate del Sud in favore di quelle più dotate di risorse fiscali;  di contro, da parte del proponente Ministro Calderoli si osserva che si attribuiscono più poteri alle Regioni e maggiori assunzioni di responsabilità per i loro Governatori di fronte ai rispettivi corpi elettorali.

Argomento, quest’ultimo, controverso nel quale si intravedono anche richiami a performance pregresse nelle quali si incrociano misure di valutazione antropologica del personale politico o risonanze di recriminazioni, se viste, rispettivamente, senza infingimenti da Nord o da Sud.

I Costituenti lo affrontarono e ne calibrarono il relativo confronto nell’elencazione delle funzioni e delle competenze uguali per le istituende Regioni ordinarie costituite nel 1970 e poi riconfigurate nel 2001 con l’introduzione della “differenziata” e la cancellazione della voce “valorizzazione del Mezzogiorno” contenute nella riforma politicamente targata Bossi/D’Alema.

Sono riferimenti storici utili per contestualizzare le questioni sul regionalismo: dibattute nel suo concepimento per il timore che l’Italia potesse essere “ridotta in pillole”; sospese per 22 anni e rimodulate dopo 53 anni sono state segnate da dialettiche politiche di potere o di convenienze elettorali: come l’apertura, in piena guerra fredda, al PCI per accedere al Governo, sia pure territoriale, in vaste aree di un Paese NATO e successivamente l’affermazione di un’idea pseudo federalista portata avanti dalla Lega, condividendola nel 2001 con il DS ed issandola a bandiera nell’attuale compagine governativa.

In parallelo con essa, anche se con tempi differenziati, dovrebbe procedere il cammino di altre due bandiere: quelle  del Premierato per FdI e della  Giustizia per FI.

Il Premierato, considerato da Giorgia Meloni “la madre di tutte le riforme”, ha come obbiettivo stabilità dell’Esecutivo e continuità programmatica a fronte di una patologica caducità di Governi: 68 in 78 anni di Repubblica, con una durata media di 361 giorni ed una rotazione di 32 Premier. Dati che non si riscontrano in altri Paesi a democrazia parlamentare.

Lo strumento proposto, discutibile o meno, pone un problema di rispetto della volontà degli elettori, sottraendola dalle manipolazioni delle oligarchie insediati nei Palazzi della politica e dagli umori ed influenze di poteri corporativi operanti all’interno delle stesse istituzioni. Argomento, quest’ultimo, di attualità mediatica relativa ad un ulteriore scontro dialettico, ogni qualvolta che si parla di riforma delle carriere dei magistrati, tra ANM, che ne è il sindacato e non rappresentativo dell’Ordine, ed esponenti del mondo della politica.

Come garantire agli Esecutivi strumenti necessari per governare e prevenire imboscate e guerriglie parlamentari è stata una questione già sollevata da Pietro Calamandrei in Costituente, avvertita da Alcide De Gasperi con il primo esperimento di legge elettorale maggioritaria, che non è scattata nelle consultazioni del 1953, e successivamente sperimentata, senza duraturo successo, con la cosiddetta legge Mattarellum, di cui è stato relatore l’attuale Presidente della Repubblica, ed a seguire con il Porcellum ed il vigente Rosatellum.

In questo spaccato storico va compreso il senso di una riforma che non ha nulla di autoritario, ma affronta problematiche che oggi sono nella agenda dei lavori del Governo della destra di Giorgia Meloni e domani in quella di una sinistra confortata dal consenso elettorale. E si capisce il suggerimento di Dario Franceschini a Elly Schlein di aprirsi ad un confronto sul tema.

Se sono rose potranno fiorire, ma dopo la conta dei petali e delle spine che usciranno dalle urne per le consultazioni europee. Ma non è garantito un tranquillo viatico parlamentare. Anche per le fibrillazioni tra i partner della maggioranza di governo su ciascuna delle riforme in cantiere.

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