scritto da Filippo Falvella - 26 Novembre 2023 10:20

1984 di George Orwell: è l’uomo a definire la società o la società a definire l’uomo?

Tendenza della natura predominante dell’uomo è il suo ritenere suo subordinato ogni qualunque altro ente presente sulla terra, che sia esso di sua creazione o che sia esso suo creatore

Considerazioni sulla natura della società e dei suoi consociati, nella corrispondenza delle due parti, attraverso “1984” di George Orwell e le filosofie politiche di Thomas Hobbes e John Locke. 

 

Tendenza della natura predominante dell’uomo è il suo ritenere suo subordinato ogni qualunque altro ente presente sulla terra, che sia esso di sua creazione o che sia esso suo creatore. E tra le figlie più interessanti dell’uomo c’è sicuramente la società, che potremmo definire in senso più giuridico come una qualunque organizzazione di persone che decidono di cooperare al fine di raggiungere un obbiettivo comune. Ma priva d’una buona educazione genitoriale la cara società è riuscita nei secoli a determinarsi in una identità sempre più “patricida”, ponendo canoni e realtà sempre meno individuali, e vivendo in un certo qual modo una sorta di capovolgimento rispetto alla sua subordinazione iniziale, ma ne tratteremo a breve, dopo aver ben precisato che non è in questa sede mio interesse intraprendere una denuncia sociale o quel che sia, bensì di avviare una semplice analisi inerente al ruolo che l’uomo gioca nella società, e soprattutto il ruolo che quest’ultima gioca con il suo creatore.

 

NineteenEighty-Four

“1984”, considerato tra i migliori libri scritti nella storia, è un romanzo di George Orwell, pubblicato nel 1949 ma scritto nel 1948, dalla quale inversione delle ultime due cifre nasce il titolo. Nella trattazione che intendiamo affrontare non sono tanto di nostro interesse le vicissitudini dei protagonisti di questo geniale e tanto premonitore romanzo, bensì la sua trama generale e il suo contesto. Successivamente ad una guerra atomica scoppiata dopo la Seconda guerra mondiale, nell’anno 1984 la terra si ritrova divisa tra tre potenze totalitarie, l’Oceania l’Eurasia e l’Estasia, tra loro in costante guerra e con l’intento comune del massimo controllo sulla società nel suo intero.

Un po’ come in una futura Italia che vede con il 70% dei voti la vittoria del sì al recente referendum, si voglia far passare questa innocua battuta, in Oceania è presente un unico partito, il quale tramite dei teleschermi presenti in ogni residenza monitora costantemente tutti i suoi consociati, annullando di fatto ogni possibile forma di privacy.

La società, classista in ogni forma, è vittima d’un continuo controllo da parte della “Tought Police”, oltre che dai teleschermi, ed è limitata nel pensiero, il quale non deve in nessun modo allontanarsi da quello dell’unico partito, e nelle abitudini, tant’è vero che persino la vita sessuale è malvista.

 

Hobbes e Locke

Allontanandoci dalla realtà utopica della società Orwelliana, per quanto sempre più plausibile con il correre degli anni, spostiamoci adesso su due differenti descrizioni di quella che è la vera e propria identità pratica del concetto di società.

Nel Leviatano Hobbes espone la propria teoria della natura umana, della società e dello stato, mettendo in evidenza l’origine naturale del diritto e dello stato di natura, ove gli uomini si ritrovano ad avere tutti quanti i medesimi diritti, intraprendendo una guerra gli uni con gli altri.

La “fine” di questa condizione bellicosa avviene con il cosiddetto “contratto sociale”, che consiste nella rinuncia ad alcuni dei propri diritti in favore d’un entità statale, da parte di tutti i suoi aderenti. In un certo senso tale rinuncia è una necessaria condizione per limitare la natura negativa dell’uomo, corruttore della stessa società che va’ a creare.

D’altro canto Locke, che condivide l’idea dello stabilire un contratto comune a tutti affinché l’intera società sia tutelata, ritiene piuttosto che sia più deleteria dell’uomo per la società la società stessa per l’uomo, aprendo la possibilità d’una eventuale resistenza e ribellione qualora il governo dovesse, troppo preso dalla sua condizione di potere, emanare leggi dispotiche o allontanarsi dall’originale idea per la quale la società si è formata. Se in un primo momento la natura negativa dell’uomo va’ attenuata tramite la società, andando avanti ci si rende conto di come la società possa diventare essa stessa la motrice di questo male.

 

La natura dell’uomo è natura della società

Ogni creazione riprende tendenzialmente sotto alcuni aspetti l’identità del suo creatore, ed i tratti più negativi della società coincidono con i tratti più negativi dell’uomo.

Ma quanto rimane ancora nella società di “umano”? In un certo senso ciò che doveva essere una facilitazione gestionale delle faccende umane risulta sempre più alienata dalla realtà delle stesse. Che l’uomo sia molto suscettibile al potere e alle smanie di mantenerlo è chiaro, ma cosa accade quando un sistema prende talmente piede da risultare “fuori controllo”? In ogni momento le forme di controllo e mantenimento risultano sempre più invasive, e sempre più “inumane”, in un senso di mancanza d’empatia e diretto confronto con chi deve rispettare quanto dettato da sé, presupponendo una realtà democratica, attraverso la società che sembra sempre più un ente a sé. Che una creazione propensa al servizio sia diventata una realtà a noi esterna può spaventare, e può terrorizzare l’idea di doversi conformare e subordinare ad un qualcosa di sempre meno umano.

Ad oggi ogni problema che ieri era lontano diventa sempre più vicino, ed ogni realtà che prima era plausibile diventa sempre più concreta, le paure ideologiche del passato si presentano subdolamente evolute, attraverso le maschere della quotidianità e del ciò che fanno tutti. Ma non c’è da ritenere necessario uno smantellamento o addirittura una rivoluzione per affrontare questi termini, perché nel contratto sociale bisogna vivere la morale come un’opinione, affinché l’etica diventi una scienza, chiara a tutti e propensa al bene dello stesso stato di natura precedentemente trattato, perché per quanto la strada sia sempre più deviata come un carro senza ruote l’uomo ha in sé la natura del bene, e vivere per gli altri e non degli altri sono le ruote di quel carro, sempre più necessarie per continuare senza incidenti la tratta che è la vita.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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