scritto da Elvira Coppola Amabile - 18 Novembre 2023 17:27

Tradizioni in Festa: Chi ha vestito di rosso Babbo Natale? Perché ci baciamo sotto il vischio?

Inconsapevolmente ignoriamo che sono una ricchezza fatta di riti e abitudini che vanno lentamente scomparendo. Ignoriamo che costituiscono la nostra identità

Si avvicina Natale, Capodanno e le tradizioni più o meno timidamente si riaffacciano. Ma inconsapevolmente ignoriamo che sono una ricchezza fatta di riti e abitudini che vanno lentamente scomparendo. Ignoriamo che costituiscono la nostra identità.

Dimentichiamole e il mondo si appiattisce.

Le tradizioni sono cultura.

Le tradizioni non sono un monumento ma un museo vivente.

Non so se contrastano la globalizzazione oppure la inglobano. Di sicuro ce le abbiamo  ricamate sulla pelle come un tatuaggio.

Greci romani turchi saraceni  longobardi normanni svevi angioini aragonesi borboni hanno attraversato il nostro territorio lasciando eredità d’usi e costumi che hanno influenzato la nostra vita e le nostre abitudini.  Non come semplice assunzione di elementi estranei o motivi originali ma con una profonda continua  rielaborazione e infine un intimo assorbimento. Via via si affacciano novità e si aggregano. Posseggono qualcosa…

Il senso del magico, i misteriosi rapporti tra uomo natura ed entità metafisiche si sono innestati su un fitto tessuto di usi antichissimi costituendo rituali. Questi rituali nei secoli hanno finito per assumere comportamenti abituali. Talvolta conservando talvolta perdendo una certa sacralità.

Quando l’uomo da cacciatore si è trasformato in agricoltore e allevatore, alla terra ha affidato la sopravvivenza di se della famiglia del bestiame. A quel punto ha cominciato a rincorrere riti propiziatori.

Questa l’origine comune di tutte le feste che da pagane si sono trasformate in cristiane.

Cerere dea delle messi delle biade dei raccolti della terra feconda è diventata Madonna.

A Roma si celebravano le Ceralia.

Una raffigurazione della Dea con il bambino e in mano le spighe di grano e il melograno oggi è stata sostituita dalla Madonnina e si porta in processione nelle campagne vicino Paestum.

La festa di Capodanno ha origini antichissime ed è legata  all’osservazione del cielo e al calcolo del tempo.

Poi successivamente le diverse civiltà hanno uniformato l’inizio dell’anno.

Vi sono fondati motivi per sostenere che tutti popoli antichi festeggiassero il Capodanno all’inizio del solstizio d’inverno. Ci si rivolgeva al Sole venerato come una divinità per garantire alla festa una sacralità . Variavano i riti a seconda dei popoli  ma senza dubbio misticismo e solennità scandivano i ritmi delle celebrazioni pur riflettendo credenze religiose e usanze locali. Una curiosità: con Tolomeo III nel 238 a.C. gli egizi introdussero anche l’anno bisestile, aggiungendo un sesto giorno epagomeno ogni quattro anni.

Fu Giulio Cesare che stabilì l’inizio dell’anno al 1° gennaio nel 45 a.C. Era Giano la divinità tutelare di tutti gli inizi. Bifronte un viso giovanile uno senile. Il sacerdote offriva focacce a Giano e i romani festeggiavano con gli amici scambiandosi mele datteri fichi e “strenae” ramoscelli di alloro che rappresentavano il rinascere della natura che si raccoglievano nei boschetto sacro dedicato a Strenia dea della fortuna.  Ed ecco perché tuttora si chiamano strenne i doni natalizi.

I “follovielli” uvetta o fichi avvolti in foglie di limone si preparano ancora come allora in tante località del sud e in costiera amalfitana.

Le lenticchie simbolo di monete e quindi di ricchezza hanno origine nordica. Inizialmente erano scaglie di salmone. Furono sostituite dalle lenticchie perché più economiche.

Sant’Alfonso dei Liguori paragonò Gesù ad un grappolo d’uva che addolcisce la bocca e rallegra il cuore declamando ”quanno nascette ninno” e noi mangiamo i dodici chicchi d’uva uno per ogni mese dell’anno dall’epoca dei latini.

Si regalava una piantina di ruta “che ogni male stuta”

San Nicola di Bari venerato nelle campagne del sud veniva invocato quando cadeva il primo dentino ad un bimbo perché il nuovo non crescesse storto ed è diventato babbo natale o Santa Klaus e porta i doni il 6 dicembre. Vestiva di marrone.

Ma allora Babbo Natale quando è diventato tutto colorato di rosso con la pelliccetta bianca?

Nel 1885 uno stampatore di Boston Luis Prang, inventò questa immagine allegra. La Coca Cola negli anni trenta la trovò appropriata e l’adottò per la sua campagna pubblicitaria imponendola ovunque con successo.

Il Natale Cristiano é la memoria della nascita di Gesù Salvatore.

La commemorazione del Natale Cristiano nei primi secoli cadeva il 25 aprile; poi il 24 giugno e successivamente il 6 gennaio.

Solo nel 336 il pontefice Giulio impose il 25 dicembre come giorno della nascita di Gesù.

La necessità  nacque dalla contrapposizione al dies natalis solis invicti dei romani. Questa celebrazione religiosa in onore di Saturno, dio dell’agricoltura, era stata trasformata in occasione di divertimento sfrenato in cui tutto era permesso.

La festività cristiana sostituendo quella pagana,all’epoca era imperatore Aureliano, introdusse in modo indolore il culto del nuovo dio al posto del culto del sole.

Sant’Agostino ammoniva: “ricordatevi che non si onora il sole ma il suo creatore”.

Un cenno ad una poetica leggenda celtica che trasforma il Vischio nella pianta degli innamorati. Baldur figlio di Odino venne colpito da una freccia di legno di vischio. La pianta venne maledetta ma le lacrime della moglie di Baldur cadute sulla pianta si trasformarono in perle. E da allora baciarsi a mezzanotte sotto il vischio regala felicità.

In fine il presepe. Il primo a Greggio fu fatto da san Francesco. Con figure di legno e animali veri nel 1224. Doveva raccontare il vangelo agli analfabeti.

Da allora il cammino é lungo e Napoli è diventata la patria del presepe. Il presepe è una metafora del tempo dove Napoli mette in scena se stessa sempre. C’è un’attività frenetica tutto l’anno che invade vicoli strade con artigiani straordinari e raffinatissimi miniaturisti. Merita un viaggio la visita di questi luoghi.

Ma vorrei accennare a qualche curiosità.  Nel 1702 Filippo V ricevette in dono il primo presepio.

Suo figlio Carlo quando sali sul trono di Napoli e Sicilia si appassionò a questa espressione e dette un grande impulso alla sua diffusone. Divenne una moda e coinvolse tutti. Sulla Gazzetta di Napoli il più celebre presepe fu quello di Emanuele Pinto principe d’Ischitella. Fu addirittura visitato  dalla contessa Visconti della Pieve viceregina austriaca. Il principe si rovinó per questa passione e gli ori dei Magi e le altre preziosità finirono sul banco dei pegni.

Ora c’è anche l’albero  di natale che pare sia cominciato in Inghilterra presso la corte della regina Vittoria.

E noi? Noi non ci faremo mancare niente per la gioia dei piccoli e per restare attaccati alle nostre tradizioni … globalizzate ma nelle quali riconosciamo ancora identità e significati che fanno da ponte tra passato e futuro.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.