Pinocchio attraverso Max Weber: l’etica del dovere vive nello spettro della responsabilità
“Pinocchio” è un romanzo per ragazzi, scritto nel 1881 da Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini. Lo stile di “Pinocchio” è un cocchiere che guida la sua carrozza attraverso più cavalli, manifestando attraverso la sua lettura molteplici impronte.
Considerazioni sull’etica del dovere, o meglio su cosa ci spinge ad agire e se è sufficiente, attraverso il romanzo per ragazzi “Pinocchio” in una chiave di lettura assolutamente filosofica.
In filosofia l’azione è l’intervento di un ente su un altro ente, al fine di modificarlo secondo quanto da egli desiderato, o di conformarlo a sé.
L’agire dunque si muove secondo una già presente idea d’azione, tramutando l’agire nella resa pratica, almeno nella sua volontà, di quanto pensato, rendendo l’azione intermediaria tra idea, o desiderio, e realtà.
Abbiamo dunque postulato che l’azione prevede una volontà, ed è nostro interesse ora non tanto determinare quella volontà, bensì comprendere quali siano le sue fonti e soprattutto quale sai l’ente necessario affinché tale azione si ripeta coerentemente fino all’ottenimento della cosa desiderata.
PINOCCHIO
“Pinocchio” è un romanzo per ragazzi, scritto nel 1881 da Carlo Collodi, pseudonimo di Carlo Lorenzini. Lo stile di “Pinocchio” è un cocchiere che guida la sua carrozza attraverso più cavalli, manifestando attraverso la sua lettura molteplici impronte.
Ha la base del classico romanzo di formazione, mantenendo al contempo un tono picaresco e decisamente descrittivo di realtà fortemente individuali. Nessuno di questi destrieri però sarà di nostro uso nel mentre di questa metaforica cavalcata, poiché del protagonista, per l’appunto Pinocchio, è nostro interesse denunciare la terribile irresponsabilità con cui egli ha a che fare prima di tramutarsi, infine, in un ragazzo in carne ed ossa.
A Pinocchio, in quanto protagonista, non è chiesto molto all’interno della sua storia, egli deve effettivamente limitarsi ad andare a scuola e ad aderire a quelle che sono le classiche responsabilità d’un ragazzino, obbedendo al suo creatore e di fatto padre, Geppetto. A fare da vero antagonista in questa storia sarà, attraverso le sue manifestazioni, la tentazione, nel senso più pratico del termine, che porterà Pinocchio a distaccarsi più volte dalle sue responsabilità.
L’esito della favola è chiaramente positivo, grazie all’intrinseca bontà del burattino tutte le vicende alla quale andrà in contro lo condurranno infine alla sua trasformazione in ragazzino, aprendolo di fatto alla realtà del mondo e delle sue illimitate possibilità. Ma nell’epopea della vita tutti dobbiamo fare i conti con la nostra responsabilità, e nessuno di noi è fiabescamente composto da legno abbastanza duro per poterla sfuggire.
L’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ
L’etica della responsabilità è un concetto filosofico espresso da Max Weber, filosofo e sociologo a cavallo tra l’800 ed i primi anni del ‘900, espresso per la prima volta all’interno d’una conferenza nel 1919, e si può definire in questo modo: poiché il futuro si prospetta nella sua incertezza l’uomo politico, nel senso Aristotelico del termine, deve rispondere delle conseguenze prevedibili delle sue azioni, le quali hanno un peso sulla vita dei suoi simili e, potremmo aggiungere, non.
Tale etica dovrebbe dunque governare su tutti quei rapporti che hanno alla base un mezzo o un fine, pretendendo da parte di colui che agisce la massima consapevolezza di quelle che saranno le sue azioni sull’ente ove intende agire. Attraverso la prevedibilità delle conseguenze dell’agire, l’uomo dovrebbe poter sempre conoscere quale sia, secondo ovviamente il fine, la migliore azione.
Ma se di fatto siamo più o meno al corrente di cosa accadrà, seppur vittime del caso e della sua imprevedibilità, cosa ci limita dal compiere le azioni più “giuste”?
La responsabilità stessa.
La stessa etimologia della parola, proveniente dal latino “respónsus”, ovvero il participio passato del verbo “rispondere”, suggerisce che questa intende per l’appunto una risposta, in questo caso alla nostra coscienza. La volontà d’agire non è sufficiente all’azione, e spesso l’esito dell’azione è ben lontano dalla responsabilità che dovremmo assumerci di questa.
L’ESAUSTIVITÀ DELLA SUFFICIENZA
Pinocchio, nonostante la piena conoscenza dei suoi obblighi morali, è sempre proteso verso quell’ago della bilancia che lo orienta verso l’incoscienza. Pinocchio sa che per arrivare al prefissato punto B deve passare A, ma ad ogni passo che dovrebbe seguire preferisce sempre un’altra opzione, noncurante delle conseguenze del suo agire e disinteressato, nonostante il “buon cuore”, dal dolore che causerebbe al suo “mandante”, Geppetto. Ma Pinocchio, la quale bontà di fondo è vera, ma non concordante con la responsabilità dell’attuarla, riesce alla fine nella sua Odissea e tutto volge per il meglio.
Perché? Perché è un burattino. E nel viaggio per diventare uomini, là dove per uomo si intende essere che vive la sua vita secondo giustizia, chi nasce di carne non ha lo stesso privilegio.
Se il non essere umano è una scusa per Pinocchio a seguire il male ma trovare il bene, chi respira non può permettersi tale fiabesco lusso, e deve avere il coraggio di seguire la sua volontà e farla azione, per quanto scomoda da praticare questa sia. La responsabilità non solo dev’essere una guida che rimembri a noi, quando le luci sono spente e la testa vaga libera, che dobbiamo se la volontà è forte manifestarla con l’azione, ma anche che il nostro muoverci dipende dal fatto che le gambe sono le nostre. Ma il vero problema è quando tale responsabilità va contro di noi, quando il motivo non sufficiente siamo noi.
Come può un’idea essere abbastanza forte da smuovere un qualcuno che si sente più piccolo dell’idea stessa? Il sogno dev’essere proporzionale al sognatore, e se il sognatore si sente inferiore a questo, che allora sia sua responsabilità divenire grande quanto il sogno stesso.
Non sono le idee ad essere irrealizzabili, ma chi le immagina a non fare di tutto per farsene proporzione, poiché tutto ciò che è ideabile dal pensiero è fattibile dalle mani, sta a noi poi adeguare i nostri passi alle scale che sappiamo ci porterebbero alla vetta.