Nonostante le forti preoccupazioni che ci danno le notizie dei disastri mondiali, da quelli climatici a quelli bellici, di tanto in tanto è opportuno pensare ad altro e ricordare qualcosa di leggero che ci dia un tantino di energia per sopravvivere e per andare avanti.
Parliamo della ZEZA, o dello Zezo, visto che in alcune occasioni il termine è attribuito anche ai maschietti, prendendo spunto dal sito “Grande Napoli che ne fa una ampia disquisizione; questo sito è pieno di notizie e argomenti non solo di grande interesse popolare, ma anche gustosi e ironici: notizie, eventi, cultura partenopea, tradizioni, curiosità e vita vissuta raccontati da napoletani che amano la città e il bello della stessa.
Sotto gli occhi ci è capitato, appunto, il nome Zeza, che è quello della moglie di Pulcinella, la prova lampante di quanto la drammaturgia possa avere influenzato nel corso degli anni il patrimonio linguistico orale partenopeo.
Nel ricco e variegato panorama della drammaturgia napoletana, Pulcinella è senza dubbio una delle figure più iconiche.
Il termine “iconico” deriva da “icona”, che viene da una radice greca che significa “essere simile, parere, apparire”; l’icona è l’immagine di qualcosa di visibile che assomiglia a qualcos’altro di visibile,
Oggi è un termine molto usato, anche in senso dispregiativo, nella linguistica popolare partenopea, che trae le sue origini dalla drammaturgia.
Al fianco di Pulcinella, spesso nell’ombra, si trova la Zeza, figura altrettanto intrigante e complessa.
Zeza è tradizionalmente riconosciuta come Lucrezia, la moglie di Pulcinella nella commedia dell’arte napoletana; Pulcinella è un personaggio che incarna la furbizia e l’astuzia e, al suo esatto contrario, sua moglie Zeza ha un carattere ingenuo, civettuolo e molto pettegolo.
Con il trascorrere del tempo, la figura di Zeza è stata adattata e modificata in base alle esigenze delle diverse rappresentazioni teatrali e la sua personalità, di volta in volta, è diventata sempre più carica di atteggiamenti e caratteristiche più astute, manipolative e talvolta anche maliziose, avvicinandosi al carattere di Pulcinella, ma mantenendo sempre una certa dose di ingenuità.
Proprio tale ingenuità la porta ad essere malgiudicata e, spesso, smascherata.
La Zeza (o il Zezo, attribuito al maschio) a Napoli è, quindi, colei o colui che vuole fare il furbo e il disonesto, sfoggiando un atteggiamento ruffiano e un perbenismo artefatto, senza però risultare credibile.
L’appellativo Zeza/Zezo, quindi, è diventato sinonimo di falsità e ruffianeria quando riferito a un uomo, e di chiacchiericcio, pettegolezzo e leggerezza quando riferito a una donna.
La figura di Zeza, nonostante non sia così popolare e conosciuta come quella del marito Pulcinella, ha lasciato un segno indelebile nella cultura napoletana.
La sua presenza nel teatro, e successivamente nella linguistica popolare, riflette la capacità della drammaturgia di influenzare e modellare la lingua e la cultura di una società.
La Zeza o lo Zezo sono lo specchio di diverse dinamiche sociali che vanno ben oltre la risata e che incarnano la capacità di una donna o di un uomo del popolo di compiere il male, perseguendo i propri egoistici bisogni, tradendo la fiducia del prossimo.
La loro apparente ingenuità rappresenta metaforicamente l’agnello travestito da pecora: i napoletani questo lo sanno bene, hanno un fiuto infallibile nell’individuarli, sanno difendersi bene da loro, sanno prevenirli; conoscono le loro tecniche abbindolatrici!
Così, un personaggio drammaturgico della tradizione che ha saputo regalare diversi momenti di riso al popolo, oggi è usato anche per indicare qualcuno da cui guardarsi bene le spalle.
Una ultima curiosità; in napoletano il termine “zezo” viene pure attribuito al “rattuso”, termine dispregiativo che indica uomini, solitamente di una certa età o sufficientemente adulti, che osservano in maniera libidinosa le donne e talvolta si lasciano andare anche a commenti molto maliziosi.
Addirittura può capitare che, con nonchalance, il “rattuso” approfitti della calca dei luoghi affollati, come i mezzi di trasporto, per fare la cosiddetta “mano morta”, palpando e toccando donne e ragazze attraenti.
Il vocabolo può anche indicare un uomo di mezza età che va a spiare le coppiette appartate assumendo atteggiamenti non proprio consoni, il classico “vecchio rattuso”, o può essere utilizzato, in tono amicale e scherzoso, per sottolineare l’interesse di un giovane nei confronti di una fanciulla più piccola d’età o minorenne (si proprio ‘nu rattuso).
La derivazione del termine è di dubbia origine: “rattuso” potrebbe derivare dal verbo latino “radere” che significa sfiorare o dall’aggettivo latino “rapidum” ovvero veloce.
Più fonti sostengono che il termine potrebbe anche provenire dalla parola “ratto” poiché questo particolare soggetto, proprio come un ratto, sa essere incredibilmente lesto e veloce nel tastare la vittima.
C’è una celebre sequenza nel film “Mi manda Picone”, diretto da Nanni Loy nel 1983, nel quale la giovane Luciella, interpretata da Lina Sastri, viene palpeggiata allo sportello dell’Anagrafe, e si difende con un sonoro ceffone appioppato sulla faccia del “rattuso”.
17.10.2023 – By Nino Maiorino – Per la verità i termini italiani, LA ZEZA e LO ZEZO, non rendono adeguatamente il concetto, meglio il dialetto napoletano, specialmente quello più sguaiato, che li trasforma in: ” ‘A ZEEZAAA, ‘O ZEEZOOO “