L’approdo in Commissione Parlamentare Antimafia del dossier “grandi appalti” apre uno spiraglio su indagini e depistaggi attivati sulla strage di Via D’Amelio, in cui persero la vita il Magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. E vi si potrebbero rintracciare, anche sulla cosiddetta trattativa Stato/mafia, elementi di conoscenza diversi rispetto alle narrazioni politico/giudiziarie rese dai media, sia pure da sponde opposte, per oltre un ventennio.
Il citato dossier è quello sul quale Paolo Borsellino valutava l’opportunità di un approfondimento al fine di cogliere utili informazioni sull’ordito che ha preceduto la strage di Capaci che costò la vita al suo collega Giovanni Falcone, alla moglie e tre uomini della scorta. Su questi affari illeciti, ipotizzati, possibili o reali, dei “grandi appalti” si incrociano il lavoro investigativo del Ros dei Carabinieri, guidato dal generale Mario Mori, le indagini svolte da Giovanni Falcone e la determinazione di Paolo Borsellino a completarne l’opera, almeno a livello di Procura: richiesta negatagli e poi concessagli dieci ore prima della sua morte ed archiviata tre giorni dopo.
Sul punto si incentra il mistero di un dossier ritenuto in più sentenze alla base delle due stragi, ma rimosso dai piani di lavoro investigativo sia dalla Procura di Caltanissetta dell’epoca, che da quella di Palermo. Quest’ultima allora attiva nel perseguire esponenti politici ed alti ufficiali dei Carabinieri, che avevano raccolto notizie e materiali sui “grandi appalti”, per avere i primi mediato ed i secondi trattato con i boss di “Cosa Nostra” per una sorta di tregua degli attacchi stragisti contro lo Stato.
I relativi processi si sono conclusi con sentenza di assoluzione pronunziata dalla Cassazione perché il fatto non sussiste. Se ne attendono le motivazioni, dalle quali è plausibile cogliere la reale configurazione dei rapporti e metodi di lavoro intercorsi tra i carabinieri del Ros ed i pm della Procura che aveva avviato il procedimento su una ipotesi di trattativa sanzionabile e politicamente infamante.
Resta aperto il diritto alla verità, finora insoddisfatto dai Palazzi della Giustizia, sulle atmosfere di quella stagione di veleni. Ci vuol provare a scardinarne silenzi ed omertà paludate la Commissione Parlamentare Antimafia, presieduta da Chiara Colosimo (FdI), la cui iniziativa irrita il M5S che annovera fra i suoi parlamentari Roberto Scarpinato, uno dei componenti della Procura palermitana che ha archiviato il dossier Mafia/Politica/Grandi Appalti.
Nella prima audizione, la Commissione ha ascoltato Lucia Borsellino, la primogenita di Paolo, suo marito Fabrizio Trizzino, avvocato: puntuali le loro testimonianze ed agghiacciante il riferimento alle confessioni di Paolo rese alla moglie Agnese sulla sua morte preannunziata.
Queste le sue parole: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che hanno voluto la mia morte saranno i miei colleghi ed altri”.
Chi sa, parli.