I dubbi sull’ideazione della strage di Bologna sono coevi delle sentenze di condanna, quali esecutori, di Giusva Fioravanti, Francesca Mambro (poco più che ventenni) e Luigi Ciavardini (minorenne), terroristi dell’eversione nera dei NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari).
Li hanno espressi intellettuali e personalità del mondo della politica e del giornalismo, tra cui Rossana Rossanda, Sandro Curzi, Marco Pannella e Francesco Cossiga. Ed il giorno dopo la sentenza il quotidiano L’Unità, organo del PCI, diretto da Massimo D’Alema, è uscito con una pagina bianca in segno di protesta e contestazione del verdetto. I loro dubbi non hanno suscitato indignazioni e clamori come quelli sollevati nei confronti del post: “so per certo che per la strage di Bologna non c’entrano Fioravanti, Mambro e Ciavardini” fatto circolare sui social da Marcello De Angelis, ex missino ed ex parlamentare, attuale responsabile della comunicazione della Regione Lazio.
Di lui il PD ha chiesto le dimissioni, mettendo in moto una campagna di stampa che ha inquietato il Presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, agitato le acque interne alla maggioranza di Governo ed irritato la Premier Giorgia Meloni, perché la vicenda turba un’immagine di moderato equilibrio conquistata sul campo delle relazioni internazionali. Perciò, si capisce l’accelerazione da parte sua dell’iniziativa da tempo preannunziata di sollevare il segreto su 27 mila dossier concernenti misteri senza risposte della recente storia politica e giudiziaria.
E proprio sulle indagini relative alla specifica strage del 2 agosto del 1980 ci sono stati “ignobili depistaggi” come ha denunziato il Capo dello Stato Sergio Mattarella nel ribadire “la matrice neofascista” dell’azione terroristica che è costata la vita a 85/86 persone.
Sul punto permangono ombre, nonostante la “oggettiva risultanza giudiziaria” (copyright del Presidente del Senato Ignazio La Russa) inscritta nelle sentenze. Esse legittimano esternazioni di dubbi che investono affidabilità e lealtà degli apparati investigativi. Si tratta di una questione di infedeltà e di responsabilità non sanabili con lo scalpo di Marcello De Angelis, richiesto dalla sinistra e non concesso dalla destra, ed è politicamente priva di senso la supponenza di imporre o far cambiare linguaggio agli ex missini transitati dall’opposizione al Governo del Paese.
Ne dà risposta lo stesso De Angelis sui social, precisando le sue scuse (“se ho creato disagio”), che la sua “unica certezza sono i dubbi”.
Può essere un modo per riconsiderare una precedente posizione interpretabile come negazionista della “matrice neofascista” oppure la conferma di un dubbio sul concepimento di un attentato fuori dalla portata logistica del trio costituito da due ventenni più un minorenne?
In entrambi i casi il dubbio è nella sua coscienza, perché se sa può contribuire a sciogliere il nodo degli “ignobili depistaggi”. Il loro disvelamento può restituire verità storiche non scritte nelle sentenze.
Il dubbio ne è seme e luce necessaria per la credibilità dello Stato di diritto rispetto alle certezze costruite e narrate da poteri autocrati operanti all’interno degli apparati della Repubblica. Che di misteri irrisolti ne ha vissuti, patiti e pianti sin dai suoi primi vagiti.