In Egitto, precisamente nell’antica città di Avaris, oggi conosciuta come Tell el-Dab’a, nell’Egitto nord orientale, luogo archeologicamente di grande importanza, esiste il cosiddetto “Cimitero delle mani mozzate”, nel quale da oltre 3500 anni sono accuratamente raccolte dodici o tredici mani destre tagliate di netto dal braccio, la maggior parte poste con i palmi rivolti verso il basso, oltre a numerose dita singole.
La scoperta di questo sito è avvenuta nel 2011, e da allora studiosi di archeologia stanno studiando per tentare di risolvere il mistero di questi reperti e comprendere perché 3500 anni fa vennero raccolti e custoditi.
Cosa si cela dietro questo mistero?
Non è chiaro se le mani siano state “prelevate” (per usare un eufemismo) da individui morti o ancora in vita.
Si trattava probabilmente di una pratica legata alla guerra e introdotta dagli Hyksos, che si pensa abbiano dominato parte dell’Egitto durante la XV, XVI e XVII dinastia e ai quali apparteneva il palazzo di fronte al quale sono state ritrovate le mani mozzate.
Le mani, insieme a numerose dita disarticolate, furono molto probabilmente sepolte durante la XV dinastia egizia, dal 1640 a.C. al 1530 a.C.
A quel tempo, il delta del Nilo orientale dell’Egitto era controllato dalla dinastia dei Hyksos.
Si ritiene che gli Hyksos, molto più progrediti, abbiano introdotto gli egiziani al cavallo e al carro, alla lavorazione del vetro e a tutti i tipi di armi, comprese asce da battaglia e archi compositi.
Stando alle iscrizioni tombali di illustri guerrieri dell’epoca, era probabilmente uso presentare al Faraone la mano destra di un avversario di guerra, al fine di ottenere riconoscimenti e ricompense.
Un recente studio pubblicato sulla rivista “Nature” ha rivelato che gli Hyksos avessero un’usanza nota come “Gold of Valor”, che prevedeva di prendere le mani dei combattenti nemici come trofei di guerra.
Un’altra ipotesi è che le mani venivano tagliate per dimostrare ai comandanti militari i nemici uccisi in battaglia.
Un recente studio, pubblicato dall’archeologa Julia Gresky su “Nature”, ha dimostrato che le mani, sepolte insieme a numerose dita, durante la XV dinastia egizia, appartenevano a guerrieri uccisi in battaglia: un antico rituale prevedeva che ogni arto venisse ricompensato dal sovrano con dell’oro.
L’ipotesi più plausibile è che gli arti venissero amputati per tenere il conto dei nemici uccisi.
L’esame osteologico (la scienza che si occupa di studiare le ossa) ha rivelato che gli arti erano scheletri della mano destra appartenuti a 11 uomini e forse una donna, tutti giovani.
Anche se non è certo, quest’ultimo dettaglio è particolarmente interessante se prendiamo per buona l’ipotesi legata ai cerimoniali di guerra.
“La presenza di un individuo di sesso femminile – si legge nello studio – è a favore di un approccio meno rigido dal punto di vista del genere alla ricostruzione di questa procedura. Nel corso della storia, le donne hanno svolto diversi ruoli nelle società militari. Le donne e la guerra non esistevano in mondi separati. Al contrario, erano inestricabilmente legate alla sfera politica, sociale e religiosa. Di conseguenza, non possiamo escludere che la mano specifica attestata a Tell el-Dab’a appartenesse a una donna”.
Il luogo nel quale sono state ritrovate le mani, proprio di fronte alla stanza del Trono del palazzo, farebbe pensare alla sepoltura di questi resti come parte di un cerimoniale pubblico che aveva l’obiettivo di sottolineare la potenza del sovrano e la supremazia sul nemico sconfitto.
Non solo: durante gli scavi non sono stati trovati frammenti ossei appartenenti ad altre parti degli arti dai quali le mani erano state tagliate.
Anche questo dettaglio, insieme alla cura con la quale erano state deposte, per la maggior parte con il palmo rivolto verso il basso e le dita allungate indica, secondo gli autori, che la mani erano state offerte come veri e propri trofei.
Una volta rimosse le parti attaccate dell’avambraccio, le mani venivano depositate nelle fosse con le dita ben aperte, solitamente sul lato rivolto verso il palmo.
Ma c’era un altro motivo per il quale gli arti venivano amputati: privare il nemico della mano destra era un’antica pratica dal forte valore simbolico tramandata già negli antichi testi e nelle iscrizioni tombali del Nuovo Regno (1550-1069 a.C): significava togliere per sempre all’avversario la sua forza.
Il ritrovamento degli arti amputati, però, è la prima prova effettiva di questo rituale introdotto nell’antico Egitto dagli Hyksos.
Il rituale sembra essere diventato una pratica abituale in Egitto: i soldati tornavano dal combattimento e presentavano le mani destre smembrate dei nemici sconfitti al loro Faraone o al comandante militare.
“Le amputazioni erano un mezzo considerato sicuro per contare i nemici uccisi”, ha detto Manfred Bietak, un archeologo dell’Accademia austriaca delle scienze. “Rendevano il nemico morto incapace di alzare di nuovo la mano contro l’Egitto negli Inferi”.
Abbiamo detto che una mano apparteneva a una donna; i testi egizi del regno di Ramses III, dal 1186 a.C. al 1155 a.C. circa, indicano che nell’esercito libico c’erano donne, il che fa supporre che quei combattenti provenissero dalla Libia.
Tutte le ossa scavate ad Avaris erano completamente formate ma non mostravano segni di degenerazione legata all’età; questo suggerisce che le mani dovevano appartenere a individui di età compresa tra i 14 e i 30 anni circa.
La nuova analisi “solleva interrogativi interessanti sulle origini delle tradizioni che mostrano il dominio sui nemici, non solo in Egitto, ma in tutto il mondo antico”, ha detto Salima Ikram, egittologa dell’Università americana del Cairo.
Ma l’usanza di mozzare parti del corpo dei nemici è una abitudine che si è protratta nei secoli, a ancora oggi purtroppo sembra praticata.
I corpi dei nemici sono sempre stati oggetto di crudeltà, e non sempre dopo la morte, e anche noi italiani non siamo esenti da tali pratiche, eseguite anche in anni recenti.
Gli esempi sono numerosi, ma di ciò parleremo in un prossimo articolo.