scritto da Filippo Falvella - 19 Maggio 2023 11:47

L’alterità platonica e l’omofobia: cosa spinge a provare odio verso il diverso

Considerazioni sui motivi che sollecitano l’odio verso una differente identità sessuale, attraverso il concetto di alterità in filosofia nel pensiero platonico.

Cos’è l’odio? Volendolo definire in brevis, potremmo descrivere l’odio come quella forza la quale applicazione in senso positivo porterà sempre ad un esito negativo. L’odio è quel sentimento, o assolutamente irrazionale o davvero troppo razionale, che tendenzialmente genera danni sia a chi lo prova che a chi lo subisce, è quel sentimento fanciullesco che pone a sé un problema senza l’intento di risolverlo. L’odio è una forza cieca, è il degno sostituto di chi non si sente capace di poter provare amore. In questa precisa sede affronteremo la più becera delle sensazioni nella sua applicazione contro il diverso, nello specifico il diverso nella propria identità sensuale, al fine di tentare, almeno in parte, di determinarne le possibili motivazioni.

 

L’OMOFOBIA

La definizione più calzante di omofobia che potremmo dare ai fini della nostra trattazione, ma anche la più tecnicamente “corretta”, è la seguente: l’omofobia è quel timore ossessivo di riscoprirsi omosessuali. E’ interessante adesso porre l’attenzione sul motivo di tale ossessione, che non è l’omosessualità di per sé o un individuo omosessuale, bensì che colui che prova tale paura possa improvvisamente divenire omosessuale. Un tipo di paura dunque che affronta l’omosessualità come un rischio, come una possibile “malattia” da temere come se più che omofobi si fosse ipocondriaci. Mi sento adesso di abbandonare questa definizione così come descritta, o meglio di far si che possa vertere verso una identità più sociale del problema aggiungendo ad essa una premessa. Per arrivare ad aver paura che una cosa possa capitarmi, devo a priori temere la cosa stessa, e secondo questo periodo premetteremo durante la trattazione che chi teme di divenire omosessuale teme consequenzialmente l’omosessualità stessa. Il temere, l’aver paura d’un qualcosa di norma si fonda sull’idea che quel qualcosa possa nuocere alla nostra identità, fisica o mentale, e ci porta di conseguenza ad evitare ogni possibile interazione con quella determinata cosa. Ma perché allora l’omofobia il più delle volte si palesa come atto di discriminazione? Ci arriveremo, o meglio tenteremo d’arrivarci, poiché quel che è bello nella vita non ha bisogno di motivi, e quel che è brutto invece di motivi il più delle volte non ne ha.

L’ALTERITÀ PLATONICA

Il termine “alterità” in filosofia è tendenzialmente utilizzato per indicare l’opposto di identità, e dunque per trattare la differenza che si presenta tra due identità. Nel caso Platonico l’alterità è intesa come uno dei cinque generi sommi, riconducendo a tale definizione l’eternamente dibattuto mondo delle idee. Tra i tantissimi problemi che Platone riscontrò nel mentre dell’elucubrazione sul mondo delle idee, quello della diversità delle idee, che avrebbero però dovuto mantenere la loro unicità, fu sicuramente uno dei più ostici. Il filosofo ateniese propone due soluzioni a tale grattacapo, ma ci limiteremo ad analizzarne uno, quello di carattere morale. Platone partì dal fondamento che ogni idea, seppur diversa dalle altre idee, fosse accomunata a tutte le altre tramite l’idea di bene, rendendo ogni idea buona ed accomunandola alla bontà d’ogni singola idea. Quello che stiamo tentando di far dire ad uno dei padri della filosofia è che ogni diversità è legittimata e giustificata dal suo essere “buona” a priori. Se un qualcosa è buono, non solo il suo esser diverso ne è conseguenza, ma fa sì anche che il diverso, se socialmente privo di possibilità di far del male in senso razionale, possa essere intrinseco della bontà. Ma allora cosa giustifica tale odio che a questo punto ci risulta essere così irrazionale? La risposta è talmente semplice da rendere sterile l’intera trattazione fatta finora, ed è la paura del cambiamento.

IL TIMORE DEL DIVERSO

Giunti a questo punto potrà sembrare che quest’articolo non offre altro che ovvietà e soluzioni già ampiamente dibattute, ma v’assicuro che non è così. Chiunque, fermo in una posizione più o meno sicura, associata ad una determinata stabilità sentimentale, potrà ritenersi più o meno fortunato, ma soffermiamoci su chi di questo più o meno s’interessa del meno. Ad un uomo sveglio abbastanza di rendersi conto della sua attuale situazione, magari non analoga a quella che invece desiderava, ma non abbastanza sveglio da poterla cambiare, e chiaramente ci riferiamo sempre alla sfera emotivo-sentimentale, resterà soltanto un’ultima sensazione da provare: l’invidia. E, attenzione, non è tanto l’invidia ad esser temibile, ma quella conseguente volontà di minare ciò che si invidia a rappresentare un problema. Se dovessi descrivere la mindfullness e la felicità dell’animo in un modo lo farei così: scoprirsi diversi in un certo ambito, là dove chiaramente la diversità è determinata da un contesto mentalmente arretrato dove ciò che rappresenta la normalità deve restare stabile e privo di evoluzioni, e accettare questa diversità al punto da esserne felici, e dal poterla liberamente esprimere senza remore. E non è proprio questa la felicità che può suscitare invidia nell’uomo mediocre di cui stiamo trattando? Quest’uomo che sentendosi “normale”, non capace di raggiungere la felicità da sé, deve addirittura scoprire che qualcuno che è invece “diverso” può essere felice? Allora dev’essere suo nobile compito quello di attaccare questa figura felice perché, ahimè, è molto più semplice demolire il ponte verso il nirvana del mio vicino piuttosto che indossare gli abiti da lavoro e tentare d’ispirarmi alla sua costruzione. Il problema non è l’educazione al diverso, perché il diverso è tale solo se inserito in un contesto, ed il contesto è di quanto più variabile esista. Il problema è l’educazione alla felicità, al rispetto dell’altrui felicità e alla capacità di ottenerla indipendentemente dal come, perché, a questo punto è chiaro, dietro chi odia si nasconde e si nasconderà per sempre un eterno infelice.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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