Divorzio Fazio/Rai, incompatibilità di coscienza o di convenienza?
Lontani dai clamori delle curve politicanti, la vicenda del mancato rinnovo del contratto tra Fabio Fazio e la RAI non può non inscriversi nell’anomalia di una azienda a partecipazione statale che opera nei settori dell’informazione, della cultura e dello spettacolo, si cimenta nel libero mercato ed ha per azionista istituzioni politiche.
Non se ne trovano tracce nelle reazioni, a caldo, sui social e sui media di area, condizionati dalle atmosfere dello scontro politico del momento, per cui il divorzio appena consumato viene interpretato, da una parte, come una “cacciata” del conduttore ad opera di una destra al Governo “brutta, cattiva e fascista”, e dalla parte opposta, come l’abbattimento di una “casamatta comunista” di una sinistra di potere, supponente e livorosa.
Il caso fa notizia e sollecita l’animosità delle tifoserie trattandosi della figura di un volto noto della tv, protagonista di trasmissioni di successo ed anche di conduzioni umorali. Ma il rinnovo della sua permanenza sugli schermi della RAI non ha nulla a che fare con il cambio di governance dell’Ente. Perché, la questione “avrebbe dovuto essere portata per tempo all’attenzione del cda della RAI”, cioè quando ne era amministratore delegato Carlo Fuortes primo ancora della nomina di Roberto Sergio, indicato dal Tesoro, come è nei suoi poteri di azionista.
Il virgolettato è una specifica precisazione di Marinella Soldi, Presidente dell’Ente dal luglio 2021, che proseguendo puntualizza: “anche per un tema di trasparenza rispetto ad un prodotto strategico e di importante portata economica, per poter valutare una proposta che mettesse insieme costi e benefici”.
Una valutazione puramente tecnica e non con intenti di epurazione o di soppressione di una voce diversa, non allineata, e men che meno di “pulizia” politica, stante la conferma delle rubriche di Lucia Annunziata, Mezz’ora in più, di Sigfrido Ranucci, Report, di Bianca Berlinguer, Cartabianca: rappresentative di pluralismo di voci alternative.
Per chi tratta e coltiva materie di cultura e conoscenza politica, indubbiamente, esiste un problema di compatibilità della propria coscienza con la linea editoriale dell’azienda per la quale si rendono le proprie prestazioni.
Sul punto sono coerenti le prime parole pronunziate da Fazio in occasione dell’annunzio del divorzio: “non sono per tutte le stagioni”; sono, viceversa, meno genuine e prossime al vittimismo le successive spiegazioni.
Il che lascia il dubbio non sciolto: se siano stati gli amministratori dell’azienda a negargli la compatibilità a restare sugli schermi della RAI o se sia stato lui a prefigurare una sua incompatibilità con la futura governance.
L’interrogativo ha senso dal momento che egli, nel contempo, trattava o coltivava l’occasione di accedere a condizioni economicamente più vantaggiose che gli sono state offerte dalla concorrenza di Discovery.
Tutto legittimo in regime di libero mercato delle prestazioni, meno apprezzabile sul piano della lealtà politica e del rispetto verso gli utenti della RAI, la quale, per sua natura, è soggetta ad organi di vigilanza sia per la gestione ed il trattamento delle proprie risorse umane e finanziarie e sia per i contenuti delle programmazioni, pur nel rispetto della creatività di autori, artisti e conduttori.
E si tratta, al di là di infingimenti ed ipocrisie, di regole note, scritte o di costume e di consuetudine politica che hanno accompagnato la storia della RAI: dal dominante pensiero cattolico, alla lottizzazione consociativa tra democristiani, laici, socialisti e comunisti fino allo spoils system, introdotto dalla sinistra e praticato ad ogni cambio di inquilini di Palazzo Chigi.
Perché non va bene la sua osservanza se la pratica il Governo con Giorgia Meloni Premier?