Le sanzioni danneggiano chi le ha messe
Di questi tempi non si può più avere certezza di niente, sembra che le regole economiche e monetarie, consolidate nei decenni trascorsi, non valgano più nulla.
Questa considerazione trae spunto dalla guerra tra Russia, paese invasore, e Ucraina, paese purtroppo invaso, la quale ha portato prima di tutto al ritorno alla guerra fredda tra la Russia e la restante parte del mondo occidentale, e alle conseguenti sanzioni che quest’ultimo ha imposto alla Russia, pensando così di contrastarla com’è sempre avvenuto in passato.
Nulla di più sbagliato in quanto le sanzioni, invece di danneggiare la Russia, sembra si siano rivoltate contro i sanzionatori se, come sostiene la stampa specializzata, sembra che la Russia non solo non è stata danneggiata, ma, al contrario, ne ha tratto beneficio.
E non siamo noi a dirlo, perché è stato il F.M.I. – Fondo Monetario Internazionale a trarre queste conclusioni qualche giorno fa, sostenendo che non solo la Russia quest’anno crescerà più della Germania e del Regno Unito, ma gli Usa a giugno 2023 rischiano il default a causa dell’alto debito accumulato.
Sembra, quindi, che la guerra stia facendo più male all’occidente.
Lo sostiene il giornale economico on-line Money il quale, in un articolo pubblicato il 9 maggio scorso, asserisce che lo stallo sul tetto del debito pubblico negli Usa si sta per trasformare in una catastrofe.
Questo sarebbe il responso fatto da Janet Yellen, attuale Governatore della F.E.D., la Banca Centrale Americana, che ha allarmato politici, economisti e investitori; la potenza americana potrebbe davvero fallire.
E anche Mario Draghi, il nostro ex Premier, a maggio dello scorso anno, in occasione di un vertice comunitario a Bruxelles, disse: “Il momento massimo di impatto delle sanzioni adottate dall’Ue contro la Russia sarà quest’estate, nel senso che avranno il loro impatto massimo da quest’estate in poi”.
Un concetto che ribadì anche a settembre in occasione della sua ultima conferenza stampa: “Le sanzioni alla Russia funzionano”, tanto da avere avuto un “effetto dirompente” sull’economia di Mosca.
Purtroppo Draghi, e tanti altri, basava le sue affermazioni sulle regole consolidate precedenti, ora saltate, tant’è che ora chi soffre di più è proprio l’occidente e, in particolare, gli USA.
Quindi gli Usa starebbero soffrendo di una doppia crisi, quella istituzionale, derivante dalla incertezza del potere politico, ora nella mani di un Biden ultraottantenne, che mostra qualche segno di mancanza di lucidità, che vuole ricandidarsi alla Presidenza per un secondo mandato (che terminerebbe quando sarebbe divenuto ultra ottantacinquenne), contrastato da uno squallido personaggio repubblicano come Donald Trump, il quale sembra prendere vigore da tutte le traversia giudiziarie che lo travolgono, e in assenza di un candidato democratico giovane, del quale quel grande paese avrebbe urgente bisogno.
Paradosso vuole che lo schieramento repubblicano ha più possibilità di esprimere per la prossima presidenza un candidato giovane, alternativo a Trump, purché quest’ultimo sia messo in condizione di non presentarsi o, almeno, di essere posto fuori gioco durante la campagna elettorale, possibilità che lascia dubbiosi per il forte consenso popolare sul quale ancora sembra poter contare.
Accanto alla crisi istituzionale vi è poi quella economica della quale stiamo parlando, che potrebbe portare a una disfatta se non si risolverà l’impasse del tetto del debito, tetto che potrebbe essere superato già dal prossimo 1° giugno.
In mancanza di un accordo tra i due poli politici gli Stati Uniti potrebbero non essere in grado di adempiere agli obblighi di pagamento e non avere le risorse necessarie per le spese statali.
In un rapporto pubblicato la scorsa settimana, gli economisti della Casa Bianca hanno affermato che un default (inadempienza, omissione, impossibilità per lo Stato di rimborsare i propri debiti o far fronte ai pagamenti) prolungato spazzerebbe via più di 8 milioni di posti di lavoro e dimezzerebbe il valore del mercato azionario.
L’avvertimento del segretario al Tesoro è stato chiaro e allarmante, ha detto che il fallimento del Congresso nell’innalzare il tetto del debito avrebbe un impatto negativo sull’uso del dollaro in tutto il mondo e scatenerebbe un enorme colpo economico, sarebbe una catastrofe per la nazione.
Gli USA hanno un debito di 31.000 miliardi di dollari.
Secondo indiscrezioni, la situazione è talmente critica che il Segretario al Tesoro degli Stati Uniti ha chiamato amministratori delegati e dirigenti d’azienda per discutere sulle conseguenze di un mancato accordo per l’innalzamento del tetto del debito.
E’ come se un’azienda, molto indebitata, chiamasse a un tavolo i suoi creditori per ottenere l’autorizzazione ad indebitarsi ancora di più per poter sopravvivere, ma senza una prospettiva di ripresa a breve, cosa che l’affosserebbe maggiormente.
Ed è per questo che la Janet Yellen ha parlato di catastrofe economica.
“Questo è qualcosa che potrebbe produrre caos finanziario, ridurrebbe drasticamente la quantità di spesa e significherebbe che i beneficiari della previdenza sociale, i veterani e le persone che contano sui soldi del governo che sono loro dovuti, come gli appaltatori, semplicemente non saranno pagati perché non avremmo abbastanza soldi”, ha spiegato Yellen al canale televisivo CNBC.
Biden e i repubblicani del Congresso sono bloccati in uno stallo per l’aumento del limite di prestito di 31,4 trilioni di dollari, con i leader del Partito Repubblicano che chiedono promesse di futuri tagli alla spesa prima di approvare un tetto più alto.
In pratica i Repubblicani vorrebbero scaricare sulla parte più debole tutti i sacrifici che la popolazione dovrà fare per evitare il default.
Biden ha insistito per un innalzamento senza condizioni, con i colloqui sul budget di spesa da tenere in modo separato.
Secondo il segretario al Tesoro, rischiare il default per garantire tagli di bilancio potrebbe portare un danno enorme alle famiglie americane, e persino un eventuale rischio calcolato danneggerebbe i mercati finanziari e potrebbe mettere a repentaglio i rating del governo degli Stati Uniti e indebolire la moneta statunitense.
Non dobbiamo dimenticare che il dollaro è considerato, così come i titoli del Tesoro, il bene fondamentale dell’intero sistema finanziario globale; la Yellen ha affermato: “È affidabile, ed è l’asset sicuro per eccellenza, e un mancato aumento del tetto del debito comprometterebbe il rating del credito degli Stati Uniti, lo metterebbe a rischio. Quindi questa è una vera preoccupazione”.
C’è da ricordare anche che, a differenza della maggior parte degli altri Paesi sviluppati, gli Stati Uniti pongono un limite rigido a quanto possono prendere in prestito; poiché il governo spende più di quanto incassa, i legislatori sono costretti ad aumentare periodicamente il tetto del debito previo accordo con l’altro partito e una specifica autorizzazione.
Di fronte a questa situazione, negli USA si presentano tre scenari:rischio calcolato, insolvenza breve e inadempienza prolungata.
Secondo l’amministrazione Biden, anche uno scenario di rischio calcolato, col quale si eviterebbe un default, cancellerebbe 200.000 posti di lavoro e ridurrebbe di 0,3 punti percentuali il prodotto interno lordo annuo.
Secondo gli economisti, in un breve default l’economia subirebbe la perdita di circa mezzo milione di posti di lavoro e il tasso di disoccupazione aumenterebbe di 0,3 punti percentuali.
Gli analisti sembrano comunque concordi sul fatto che un fallimento sul debito degli Stati Uniti comporterebbe la perdita di milioni di posti di lavoro, aumentando al contempo le rate dei mutui, quelle dei prestiti per le auto e i tassi delle carte di credito: gli americani usano molto questi sistemi di pagamento, anche rateali.
Il tutto, in uno scenario di turbolenza bancaria e aumento dei tassi di interesse.
E la cosa ancora più strana, che lascia perplessi, è che la stessa Yellen, solo qualche mese fa, parliamo di febbraio – marzo scorso, non aveva lanciato nessun allarme, il che sta a significare che nemmeno lei avesse previsto un imminente tonfo. Questo la dice lunga sulle difficoltà di previsioni anche a breve.
E se si pensa che tutto ciò è la conseguenza della guerra, per molti versi ideologica, tra Russia e Ucraina, c’è poco da stare allegri.