Resistenza e libertà declinabili oltre l’antifascismo
Fascisti e mafiosi aggettivi squalificanti pronti all’uso
La destra politica al Governo e in Parlamento non è compatibile con il fascismo. Lo ha esplicitato la Premier Giorgia Meloni nella lettera al Corriere della Sera pubblicata il 25 Aprile in occasione della Festa della Liberazione.
Apprezzata da esponenti del mondo della politica e della cultura, è stata contestata dai cultori dell’antifascismo permanente perché avrebbe dovuto usare l’aggettivo “antifascista” per accreditare se stessa, donne ed uomini di FdI come garanti dei valori di democrazia e libertà nell’esercizio di funzioni istituzionali della Repubblica.
Celebrare la Liberazione imponendo o dettando ad altri come esprimere pensieri e comportamenti è qualcosa di più di un ossimoro linguistico ed è incompatibile con gli stessi valori professati dall’antifascismo di pensiero. Perciò, piuttosto che una figurazione retorica del momento, vi si può leggere il risentimento politico ed ideologico di chi esercita, da tempo, poteri egemoni nella narrazione mainstream storica ed attuale del Paese sconfessata o non corrisposta nelle scelte elettorali e tendenze espresse da una fetta maggioritaria dell’opinione pubblica.
Le svolte sono fenomeni che si ripetono ad ogni cambiamento e come tali vanno interpretati senza nostalgie o vendette. Ed è stata la bussola etica e culturale degli antifascisti combattenti che diedero origine alla Costituzione repubblicana. Così come altri momenti di resistenza sono stati scanditi, con spirito e voglia di libertà nel 1948, in occasione della formazione del primo Parlamento democratico, contro l’eventualità di un nuovo totalitarismo, di marca comunista, e contro il terrorismo degli anni di piombo, nella notte della Repubblica culminata nel sequestro ed uccisione di Aldo Moro.
Al di là di ogni diversità di opinioni, l’impostazione di una narrativa politica su una semantica storica o è sconnessa da realtà e tendenze che si dispiegano nel tempo, perché non si può essere in guerra e nemici per sempre (copyright di Papà Francesco), oppure è la manifestazione di una voglia di pensiero unico dietro la dettatura di un linguaggio omologante: il che è sintomo di infantilismo culturale prima che politico.
Secondo l’ordine del tempo, resistenza e libertà sono ancora declinabili, anzi necessarie, nella lotta alle mafie e per il disvelamento di verità nascoste o neglette che intossicano il rapporto fiduciario tra i cittadini e lo Stato nelle sue diverse articolazioni istituzionali.
Sul punto esiste certamente una lista di buoni e cattivi, ma è la narrativa mass-mediale che spesso si discosta dal racconto oggettivo di fatti e responsabilità per assumere i contorni di processi di delegittimazione dell’avversario politico di turno.
Come dire che lo schema non cambia nella lingua di élite egemoni nella comunicazione mediatica ripresa da leader politici quando si vuole screditare l’avversario: fascista o mafioso sono gli aggettivi squalificanti pronti all’uso.
Piuttosto occorrerebbe, mutuando un pensiero di Antonio Gramsci, “convintamente attivare l’attenzione sul presente così com’è, se si vuole trasformarlo”. Ed è di attualità professare il suo “pessimismo dell’intelligenza e l’ottimismo della volontà” nell’assumere un linguaggio di lotta contro i poteri finanziari ed altri alieni dalle responsabilità delle rappresentanze elettive, perché la democrazia non fa rima con idiozia.
Tanto per riposizionare il “non” omesso da un esponente del PD investito di incarichi istituzionali nel nostro territorio.