scritto da Filippo Falvella - 12 Aprile 2023 09:36

La società specchiata: il riflesso dell’io

David Bowie ne “L’uomo che cadde sulla terra”

La rilevanza che un qualcosa può avere nella nostra vita è molto spesso definita dalla frequenza con la quale abbiamo a che fare con quel qualcosa, definiamo ciò che viviamo attraverso il tempo che, volendo o meno, gli dedichiamo. Quel qualcosa con la quale abbiamo certamente tutti a che fare ogni giorno, e nello specifico nel momento in cui questo inizia, è sicuramente lo specchio, o meglio quell’immagine riflessa sulla sua superficie: il nostro volto.

Per quanto l’apparenza e l’apparire siano spesso additati come i più superficiali strati dell’essere, è impossibile negare che rappresentino una fondamentale estensione, se non parte più chiara, del nostro io.

Nel pensare ad un qualcuno prima ancora della sensazione ad esso associata ne vediamo nei pensieri il volto, alla quale associamo soltanto in un secondo momento il nostro sentire, come se non vedendo quel qualcuno in una immagine ben definita non potessimo ricordare cosa per noi questo rappresenti.

Al nostro apparire dedichiamo tempo, indagini, spese, trattiamo il nostro corpo come l’obbligatorio biglietto da visita per ciò che nasconde al suo interno, in un tentativo di manifestare il nostro essere al di fuori dello stesso, di far combaciare ciò che siamo dentro con il modo in cui appariamo fuori. Ed è per questo che ci specchiamo la mattina appena svegli, prima di uscire, per strada al fine di verificare che nulla sia fuori posto, ed abbiamo così a che fare con il nostro riflesso chissà quante volte al giorno.

Ogni giorno abbiamo la possibilità di vedere i nostri progressi, se siamo ingrassati, se siamo dimagriti, se le creme stanno funzionando o se la barba sta crescendo, se la nostra acconciatura sta prendendo la giusta forma e via discorrendo.

Tutti gli sforzi che dedichiamo al miglioramento della  nostra immagine sono immediatamente verificabili, e questa verificabilità così costante ed immediata ci ha portato a pensare che tali miglioramenti siano ugualmente costanti ed immediati. Abbiamo dunque a che fare ogni giorno con la nostra immagine, e al contempo ogni giorno con quelle immagini che dovrebbero rappresentare il target alla quale dovremmo, almeno in apparenza, puntare.

Un confronto che avviene ogni giorno, in modo quasi snervante, che trova alle sue spalle quella impazienza che nasce dal potersi vedere ogni giorno ma dal non poter vedere ogni giorno un miglioramento, dal poter rivedere in ogni momento quel target ma dal non poterlo raggiungere immediatamente.

In una vita passata a specchiarci, a rifletterci, abbiamo iniziato a riflettere letteralmente sempre di più, ponendo al centro di tali riflessioni una attenzione maniacale rispetto ad un qualcosa che può sì essere levigato, ma assolutamente non cambiato nella sua totalità: il nostro apparire.

È divertente pensare a quelle epoche antiche in cui l’unico modo per poter guardare le proprie fattezze era l’essere di fronte ad un calmo specchio d’acqua, dalla superficie calma e regolare, e notare quasi con curiosità il modo in cui effettivamente apparivamo all’esterno.

Eppure sarebbe sciocco far coincidere l’inizio dell’umano agire con l’invenzione dello specchio: non ho bisogno di visionare il mio cervello per far sì che questo elabori piacevoli pensieri: questo perché la rilevanza che un qualcosa può avere nella nostra vita è molto spesso definita dalla frequenza con la quale abbiamo a che fare con quel qualcosa, ma la bellezza e la grandezza di un qualcosa sono sempre definiti dall’utilizzo che quel qualcosa fa del suo essere indipendentemente dal suo esserci, come una serie di note scritte nella piùbruttadelle calligrafie, ma che una volta lette tramite uno strumento fanno la più bella delle musiche.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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