scritto da Filippo Falvella - 29 Marzo 2023 09:27

La critica: come reagiamo all’esame del nostro essere

Aristotele scriveva che l’unico modo per non esser soggetti a critiche consisteva nel non far niente, non dir niente, non esser niente. Piuttosto che adottare soluzioni così drastiche abbiamo fatto delle critiche una normale conseguenza del nostro agire, un logico responso proposto da chi riceve a chi ha dato. Come ogni cosa che vanta d’una definizione generale ed oggettiva, anche il concetto di critica è però inficiato nella sua perfetta definizione dal fantasma della soggettività, che tutto rende e niente definisce.

Nel suo proprio significato la critica è una effettiva valutazione, un giudizio su di un qualcosa che ha il suo termine con una valutazione.

Tutto è criticabile, ogni cosa ha in effetti un suo opposto o una sua controparte che in qualche modo la definiscono, un qualcosa che non può essere criticato sarebbe di fatto un qualcosa che non può neanche essere realmente immaginato.

Niente di complesso per ora in questa fondamentale forma di giudizio, almeno finché questo non viene spostato da un qualcosa ad un qualcuno, o su di un qualcosa fatto da un qualcuno. Se l’opinione è la dichiarazione di un proprio modo di vedere un determinato fatto, la critica è invece l’evoluzione dell’opinione, che dal proprio pensiero ricava una parte distruttiva, la critica vera e propria, ed una parte costruttiva, la soluzione data al problema che si è posto.

È ovvio adesso che un procedimento così delicato finisca per tangere il più delle volte chi lo subisce, indipendentemente dal fine di tale giudizio, che sia esso positivo o negativo. Su quanto siamo più sensibili è sicuramente il nostro operato, la rappresentazione del nostro interno attraverso il nostro lavoro esterno, quando riceviamo una critica su ciò che facciamo stiamo di fatto ricevendo una critica sul nostro essere più personale.

Eppure questo percorso così tortuoso è ben più che necessario per meglio avvicinare ciò che facciamo ad una reale comprensione degli altri, una parola compresa solo da noi stessi non ha neppure senso d’esser comunicata, e non si dica che alle volte si parla anche solo per se stessi, poiché se si parla si vuole essere ascoltati.

Abbiamo dunque detto che è impossibile sfuggire all’altrui giudizio, abbiamo assodato che questo è necessario e al contempo ci siamo resi conto che questo fa male indipendentemente dal suo fine, ne evinciamo però che dare per certa ogni critica ci renderebbe troppo aperti, e ritenerle tutte sbagliate troppo chiusi.

Snaturarsi per seguire l’altrui parere sarebbe deleterio, alienarsi per distaccarsene lo sarebbe ancor più. Quanto ci rimane da fare a questo punto è essere ben consapevoli che nel riempire il secchio del nostro divenire dovremmo sempre tenere a mente che le critiche sono come neve al sole, per quanto fredde con il tempo diverranno la stessa acqua che colmerà quel secchio.

Ho 24 anni e studio filosofia all'Università degli studi di Salerno. Cerco, nello scrivere, di trasmettere quella passione per la filosofia ed il ragionamento, offrendo quand'è possibile, e nel limite dei miei mezzi, un punto di vista che vada oltre quel modo asettico e alle volte superficiale con cui siamo sempre più orientati ad affrontare le notizie

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