8 marzo: Gerda Taro, la prima fotoreporter donna ad aver perso la vita in guerra
Fu la prima reporter donna a morire in un’azione di guerra mentre svolgeva il proprio lavoro.
Malgrado la tua morte e le tue spoglie,
l’oro antico dei tuoi capelli
il fresco fiore del tuo sorriso al vento
e la grazia quando saltavi,
ridendo delle pallottole,
per fissare scene di battaglia,
tutto questo, Gerda, ci rincuora ancora.
(Luis Pérez Infante)
Un giovane medico durante la guerra civile spagnola, accudisce una giovane donna gravemente ferita. E’ il mese di luglio del 1937, sul fronte di Brunete vicino Madrid. Quella paziente era Gerda Taro che di lì a poco, il 26 luglio, sarebbe spirata.
Gerda Pohorylle, meglio conosciuta come Taro, giornalista e fotografa, compagna di Robert Capa, è morta a soli 26 anni, dopo aver vissuto con intensità ogni singolo momento della sua breve vita. Sempre in prima linea, la macchina fotografica pronta a scattare a raffica. Fu la prima reporter donna a morire in un’azione di guerra mentre svolgeva il proprio lavoro.
Nata a Stoccarda nel 1910, bella, estroversa, ribelle, di famiglia ebrea. Una donna fedele a se stessa e ai suoi ideali, in un’epoca in cui far sentire la propria voce suona come un terribile delitto. Si oppone apertamente all’ascesa del nazismo in Germania. Il 19 marzo 1933 venne arrestata e imprigionata con l’accusa di attività sovversiva e propaganda antinazista. Aveva distribuito volantini antinazisti. Restò in prigione 17 giorni. Dopo il suo rilascio, grazie anche al passaporto polacco, decise di lasciare la Germania. Successivamente a un viaggio in Italia, Gerda cerca rifugio a Parigi, dove sempre più artisti, intellettuali e fotografi si sono trasferiti, mossi dal fervore artistico che caratterizza la capitale francese in quegli anni.
Lì, fra i tavoli dei café parisiens, incontra André Friedmann, un giovane fotografo ungherese, anche lui di origini ebraiche, anche lui con una valigia piena di sogni. Fu l’incontro che le cambiò per sempre la vita. Si fidanzano e sarà proprio Andrè a portare Gerda alla fotografia. Decidono di cambiare nome, scegliendo degli pseudonimi facili da ricordare per assonanza: inventano il personaggio Robert Capa, un fantomatico fotografo americano giunto a Parigi per lavorare in Europa il cui nome ricorda quello del celebre regista Frank Capra e Gerda cambia il suo cognome in Taro che richiamava una certa assonanza con quello di Greta Garbo.
Fu l’inizio di un sodalizio di enorme successo. Gerda Taro e Rober Capa, nel 1936, decidono di imbarcarsi su un volo per la Spagna e documentare fotograficamente la guerra civile spagnola. Gerda realizza uno dei più importanti lavori di documentazione di guerra durante la battaglia di Brunete. Si mantiene sempre in prima linea per immortalare i tremendi bombardamenti in atto. E’ andata in fondo all’orrore e ha mostrato la morte che vedeva ogni giorno in Spagna.
Le sue foto parlano delle radici della nostra memoria: la follia degli uomini, la sofferenza della guerra, ma anche l’idea della fratellanza e della speranza in un mondo migliore. A rendere il suo lavoro tanto potente è il coinvolgimento personale che si avverte dalle immagini. Aveva un istinto naturale che la portava a catturare immagini forti, efficaci, espressive. Univa al sorriso di donna il cuore di un eroe.
Gerda scatta centinaia di fotografie, forse migliaia, ma vengono pubblicate e firmate da Capa. E così, mentre lui diventa qualcuno, lei sprofonda nell’ombra. Di lì a poco rifiuta la proposta di matrimonio di Robert e sceglie di proseguire la sua carriera da sola. Inizia a lavorare per Ce Soir, una rivista di sinistra, e conosce personalità del calibro di Ernest Hemingway e George Orwell. Fonda una sua etichetta, la Photo Taro, e pubblica i propri scatti su alcune importanti testate dell’epoca come Life e Regards.
Nel 1937, viaggia aggrappata al predellino esterno di un mezzo, quando questo viene bombardato e, nel trambusto, urta un carrarmato in movimento: la fotografa finisce sotto i cingoli, rimanendo schiacciata dalla vita in giù. Quando morì, la sua carriera non era durata neanche un anno. Al suo funerale partecipano più di 100.000 persone, Pablo Neruda legge l’elogio funebre e in sottofondo suona la marcia di Chopin. Capa non si riprenderà mai del tutto dalla grave perdita. La tomba di Gerda Taro è violata dai nazisti, che la considerano un simbolo capace di motivare la Resistenza, anche da morta.
Dopo la sua morte il ricordo di Gerda Taro inizia a sbiadire. La storia più contemporanea ha ridato finalmente voce a questa donna. Gerda diventa un modello per le donne contemporanee. E’ sempre stata libera, forte e determinata. L’aspetto più caratteristico della sua figura, la cosa fondamentale che segnò un prima e un dopo nel fotogiornalismo e che creò il suo mito è stato il suo lavoro. Di lei oggi restano tracce immortali: le sue fotografie.