Il primo serial killer calabrese che compì tre stragi e numerosi delitti
Forse non tutti sanno che Domenico Groppa è stato il primo serial killer calabrese, che ha lasciato dietro di se una striscia di sangue negli anni venti del secolo scorso, seminando terrore e paura nella campagne calabresi, e parte della Basilicata.
L’uomo, autore di vere e proprie stragi, uccideva in occasione di furti compiuti all’interno delle abitazioni. «Penetrava negli stabili» spiega lo scrittore Francesco Caravetta, autore del libro “Antichi delitti – Terzo volume” «e dopo aver assassinato gli uomini, violentava le donne. Dopo averle possedute le ammazzava e poi fuggiva con la refurtiva».
Groppa era stato un assassino precoce, giacché quando venne arrestato aveva solo trent’anni, ma aveva già lasciato dietro di sé una lunga serie di misfatti e crudeltà, che ha tinto la Calabria e parte della Basilicata.
Era nato intorno al 1895, figlio di genitori ignoti, e a trent’anni aveva collezionato un numero imprecisato di truffe, violenze, stupri, un tentativo di omicidio e tre stragi.
A scoprire questo capitolo nerissimo della nostra storia è stato l’antropologo e scrittore cosentino, Francesco Caravetta, Archivista investigativo, noto per i suoi libri dedicati a racconti di sangue, frutto di anni di meticolose ricerche negli archivi di Stato.
La vicenda di Groppa emerge nelle 32 pagine della sentenza che i giudici della Corte d’Assise di Cosenza stilarono per sancire la condanna di un uomo descritto come un “mitomane e bugiardo cronico”, che si prese beffe più volte di avvocati, inquirenti e psichiatri del manicomio in cui venne internato prima di morire in carcere, confessando e poi ritrattando assassinii di cui si vantava di essere stato l’autore.
“Groppa era appassionato di chiromanzia ed aveva abbracciato il satanismo tanto che -sottolinea Caravetta- in occasione di un crimine, decapita una vittima con l’intento di usare la testa mozzata come cuscino per tre notti e poi mangiarne il cervello. A quel punto, secondo quanto raccontò egli stesso ai carabinieri reali, sarebbe diventato figlio di Satana”.
Negli anni precedenti al suo arresto, avvenuto per caso dopo un furto compiuto a Trebisacce, Groppa aveva vissuto di espedienti e truffe, convincendo le persone ad interrare banconote in attesa, come accade nella favola di Pinocchio, che diventassero alberi d’oro (venne chiamata la truffa di Pinocchio).
Ma la sua vera ossessione erano le donne: voleva possederle, se ne incrociava una che gli suscitava qualcosa doveva averla, che lei fosse d’accordo o no.
Il killer abusava sessualmente delle sue vittime anche dopo la morte e questo ne fa il primo omicida seriale italiano necrofilo della storia di questo Paese.
Era un uomo che odiava le donne: “Io sono rimasto inorridito -racconta Caravetta sfogliando il faldone d’epoca, conservato nell’Archivio di Stato di Cosenza dove lo scrittore da tempo studia con minuzia carte e atti- quando ho letto di quello che faceva con i cadaveri delle sfortunate vittime”.
Domenico Groppa era un uomo lucido e forte, in grado di affrontare tre persone e disarmarle, e per anni continua la sua vita criminale seminando orrore e morte.
Nonostante nei suoi confronti fosse stato spiccato un mandato di cattura, ha continuato ad agire indisturbato fino a quando, dopo l’arresto per furto, venne riconosciuto e assicurato alla giustizia.
Dell’assassino non ci sono fotografie, della sua famiglia d’origine non si sa nulla, nell’unico passaggio in cui Groppa accenna a qualcosa del suo passato, parla di sua madre, accusata di averlo infettato con la gonorrea, la stessa la malattia che una prostituta napoletana gli avrebbe trasmesso, pagando questo peccato con la morte.
«Ecco che qui scatta una specie di vendetta nei confronti delle donne -commenta Caravetta- una sorta di risarcimento dovuto, che lo spingeva a prenderle anche contro la loro volontà».
Domenico Groppa si è autoaccusato di un centinaio di omicidi ma negli atti giudiziari ritrovati dallo studioso ne sono raccontati solo una trentina. Ad Amendolara venne sterminata una famiglia di sei persone che costò l’arresto a sei persone poi condannate all’ergastolo. Sei persone che, invece, erano innocenti. Groppa, infatti, parla della strage e ne racconta la dinamica nei minimi dettagli assumendosene la esclusiva responsabilità.
Tra la fine di maggio e il luglio del 1926 Groppa commise tre stragi, la prima a Carpanzano, che poi fu l’ultima a essere scoperta, una a San Chirico Raparo, in provincia di Potenza e una a Ferrandina, in provincia di Matera, per un totale di 13 morti accertati, di cui 7 erano donne, e un tentato omicidio.
Il pluriomicida confessò pure un caso di necrofilia compiuto sul cadavere di una ragazza.
«Si autoaccusò di altri quattro delitti -racconta Caravetta- ma gli inquirenti a un certo punto smisero di dargli credito. Le perizie psichiatriche lo dichiararono un mentitore e i giudici presero in esame solo i 13 omicidi accertati condannandolo a tre ergastoli, comunque più di questo non avrebbe potuto scontare».
Groppa era, fra l’altro, un uomo molto scaltro; temendo di finire dentro a vita, mise in atto una strategia molto precisa per dilatare, oltre misura, i tempi processuali e rinviare la condanna che gli sarebbe costata il carcere duro: non faceva che ammettere omicidi per poi smentirli. Agli inquirenti offriva questo balletto fatto di confessioni, con tanto di dettagli, e poi di repentini dietro-front. Questa storia è andata avanti per ben sei anni».
Un killer spietato quanto lucido. «Questa è una delle caratteristiche dei serial killer , chiosa Caravetta. Per restare in Italia prendiamo il caso della saponificatrice di Correggio, la Cianciulli, che da sola riuscì a ingannare giudici e psichiatri di Aversa per anni».
Tanti erano i casi di omicidio confessati da Groppa che, a un certo punto, i giudici decisero di non procedere che per le stragi.
“Probabilmente -ipotizza lo scrittore- con le tecniche di oggi saremmo in grado di ricollegarlo realmente anche ad altre morti”.
Gli atti della vicenda sono sparsi in ben quattro archivi di Stato che Caravetta ha, pazientemente, letto e studiato nel dettaglio.
«La cosa che mi ha davvero colpito è stato leggere le sue dichiarazioni sul caso Carpanzano (Comune in provincia di Cosenza: ndr). Lui racconta di come ha squartato una ragazza per poi abusare di lei a cadavere ancora caldo. Lì ha ucciso un’intera famiglia. Ha iniziato tentando di violentare una ragazzina che riuscì a chiamare in soccorso suo padre che arrivò munito di un’accetta. Groppa riuscì a disarmarlo e lo uccise. La ragazza, invece di fuggire, lo minacciò con un coltello. Lui non si fece intimorire, glielo tolse dalle mani, ferendosi, e poi la uccise e violentò, e la stessa sorte è toccata alla madre nel cui petto il killer lasciò conficcato il coltello».
La ragione di tanta crudeltà? Fu lui stesso a spiegarlo ai carabinieri ed ai giudici di Cosenza. «Venni condannato per un furto mai commesso e quando uscii dal carcere decisi di provocare più dolore possibile alla società».