Tutta l’Europa è in affanno per la crisi del Gas che ha colpito i paesi dell’UE, per approvvigionarsi di questo importante prodotto il quale, fra l’altro, alimenta le centrali che producono energia elettrica: ecco perché il gas e l’elettricità sono strettamente collegati.
L’ultimo grave colpo al prezioso materiale è stato il sabotaggio del Metanodotto Nord Stream, avvenuto al largo delle coste danesi, poco distante dall’isola di Bornholm, nel mar Baltico a circa 160 km a est di Copenaghen e circa 37 km al largo della costa svedese.
Non si sa chi è stato il sabotatore, Nato e Russia si accusano a vicenda, c’è chi è portato a credere che sia stata opera di Putin, il quale ha in quel tratto navi e sottomarini da guerra, e la circostanza che il metanodotto sia stato colpito in più punti lascia riflettere: i paesi dell’EU e quelli della Nato non avevano interesse a privarsi del prezioso gas.
Questo sabotaggio sta provocando enormi danni economici e ambientali, e il gasdotto sembra diventato inutilizzabile per il futuro.
Il discorso va fatto sotto due aspetti, quello economico, che affligge tutti i paesi, compresi quelli dell’UE, e che, in mancanza di una intesa comunitaria unica, stanno affrontando in ordine sparso, come ad esempio la Germania che sta investendo altri 200miliardi di euro per far fronte ai maggiori costi che gravano su popolazione e imprese.
Ovviamente nel costo si inserisce la speculazione finanziaria, ma questo è un discorso complesso del quale non vogliamo occuparci, al momento, riservandoci di farlo in prosieguo.
L’altro aspetto è quello dell’approvvigionamento delle risorse energetiche, non solo di gas, anche se nel mirino oggi c’è particolarmente questo prodotto.
Sotto questo aspetto c’è chi sostiene che il nostro paese sia avvantaggiata rispetto agli altri, sia per fattori climatici e ambientali, ma anche perché all’inizio della invasione della Russia alla Ucraina l’Italia si è mossa per tempo.
Lo sostiene Reuters, l’Agenzia di stampa britannica, specializzata fra l’altro in analisi economiche, che ha recentemente pubblicato un articolo a firma di Francesca Landini e Christoph Steitz, esperti in questioni economiche internazionali.
L’Italia è stata più pronta di altri paesi nella diversificazione dei fornitori di combustibile; mentre la questione si fa più complessa se collegata al costo, anche per un mancato accordo dei paesi Ue, dal punto di vista approvvigionamento il nostro Paese sarebbe in vantaggio, tant’è che lo stesso Ministro Cingolani ha ammesso il 2 ottobre che, almeno per fine anno e nei mesi successivi noi italiani non dobbiamo avere preoccupazioni in quanto lo stoccaggio e le intese con paesi fornitori ci mettono al sicuro.
I punti di forza dell’Italia nella crisi del gas dal punto di vista degli approvvigionamenti, sono legati ai rapporti con vari paesi del nord-Africa, che il nostro Governo, direttamente e tramite Eni, hanno incrementato proprio quando la Russia ha invaso l’Ucraina.
Nelle settimane successive al 24 febbraio Claudio Descalzi, amministratore delegato di Eni, ha intrapreso una serie di viaggi verso fornitori di gas in Africa. Ci sono stati incontri con Algeria, Angola, Egitto e Congo tra febbraio e marzo, e successivamente con altri e Descalzi è stato spesso accompagnato da alti funzionari del Governo.
L’Eni e l’Italia sono state in grado di sfruttare, in tempi brevi e al massimo delle possibilità, i rapporti di fornitura esistenti con quei paesi, per assicurarsi forniture extra in sostituzione di gran parte dei volumi ricevuti da quello che è stato il suo principale fornitore, la Russia: una mossa cruciale e tempesiva, rispetto ad altri Paesi europei.
L’Italia può anche vantare di essere la migliore in Europa per la sicurezza energetica con la sua capacità di stoccaggio.
“L’apprezzamento che ha l’Eni in diversi Paesi africani è sicuramente un vantaggio competitivo”, ha affermato Alberto Clò, ex ministro dell’Industria ed ex consigliere di amministrazione di Eni.
Sulla stessa scia si schiera Martijn Murphy, specialista in petrolio e gas presso la società di ricerca Wood Mackenzie, che ha riconosciuto che l’Italia, sebbene considerasse da tempo la Russia come il suo principale fornitore di gas, abbia lavorato per una maggiore diversità di fornitori, usando i legami di lunga data con l’Africa per ottenere una posizione migliore e resistere meglio di altri all’esclusione di Mosca dall’approvvigionamento: “Eni ha legami molto forti con tutti i Paesi con cui opera in nord Africa ed è presente in tutti, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto e nella maggior parte di questi è il più grande investitore “upstream” , (questo termine, nell’ambito delle risorse energetiche, individua l’insieme dei processi operativi da cui ha origine l’attività di estrazione di gas, petrolio e olii combustibili), ha sintetizzato Murphy.
Dalla primavera del 2023, inoltre, un flusso crescente di Gnl (gas liquido a temperatura di -160°C: i serbatoi per stoccare il GNL devono essere criogenici), inizierà ad arrivare da Paesi come Egitto, Qatar, Congo, Nigeria e Angola, consentendo all’Italia di sostituire altri 4 miliardi di metri cubi di gas russo.
Nel 2021 l’Italia ha consumato 29 miliardi di metri cubi di gas russo, pari a circa il 40% delle sue importazioni.
Ora, già a partire da questo inverno, sta gradualmente sostituendo circa 10,5 miliardi di metri cubi dello stesso con un aumento delle importazioni dagli altri Paesi, e la maggior parte del gas proverrà dall’Algeria, la quale il 21 settembre ha dichiarato che incrementerà le consegne totali in Italia di quasi il 20% a 25,2 miliardi di metri cubi quest’anno: ciò significa che diventerà il primo fornitore italiano, garantendo circa il 35% delle importazioni.
Nel 2006, era l’Italia a correre più veloce verso il gas russo rispetto ad altri paesi, con Eni che all’epoca aveva siglato il più grande accordo di gas mai firmato da un’azienda europea con il colosso energetico controllato da Mosca Gazprom.
Ma negli ultimi otto anni c’è stata l’inversione di rotta: mentre altri stati, come la Germania, hanno raddoppiato il consumo di gas russo dal quale sono diventati sempre più dipendenti, l’Italia ha cercato di guardare altrove.
Il nostro Paese, infatti, ha iniziato a tracciare un percorso diverso già nel 2014, quando il nuovo Governo sostituì quello di Silvio Berlusconi, amico di lunga data di Putin, e Descalzi prese il timone di Eni; come specialista di esplorazione si concentrò su ciò che conosceva meglio: esplorare l’Africa, avendone supervisionato progetti in luoghi come Libia, Nigeria e Congo.
Un grande successo arrivò in Egitto nel 2015, con la scoperta di Zohr, il più grande giacimento di gas del Mar Mediterraneo, e l’avvio della estrazione allo stesso in meno di due anni e mezzo, uno sviluppo relativamente rapido nel settore.
Con l’Algeria, dove Eni è presente dal 1981, la società ha siglato nel 2019 un accordo per rinnovare le importazioni di gas fino al 2027.
L’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e le conseguenti sanzioni occidentali sono state un momento di svolta; Roma ha ritirato il suo sostegno al progetto South Stream da 40 miliardi di dollari di Gazprom – che aveva lo scopo di trasportare gas dalla Russia all’Ungheria, all’Austria e all’Italia aggirando l’Ucraina – anche in aderenza alle sanzioni imposte dall’occidente.
South Stream, quindi, è stato abbandonato da Eni nello stesso anno, prima di essere messo fuori servizio da Mosca. L’Italia ha invece rivolto lo sguardo alla costruzione del più piccolo gasdotto trans-adriatico dall’Azerbaigian attraverso la Grecia e l’Albania.
È chiaro che la situazione è di eccezionale volatilità, e va seguita “ad horas”, e solo la fine del conflitto russo-ucraino potrà porre fine a questo stato di grande incertezza.
Per questo motivo le suppliche ed i solleciti che tanti rivolgono ai due belligeranti sono particolarmente opportuni non solo per i sacrosanti motivi umanitari, ma anche per gli incombenti pericoli di una pericolosissima “escalation” dello stesso, che potrebbe sfociare in una guerra nucleare.