Centrodestra, alla ricerca di una identità
Centrodestra, alla ricerca di una identità
La bocciatura della proposta di legge di FdI per l’elezione diretta del Presidente della Repubblica, determinata da assenze ingiustificate di Deputati di Forza Italia e Lega, non è stata una buona notizia per il viatico politico del centrodestra.
È maturata in un clima di indifferenza ai limiti del dispetto verso il partner promotore che, al momento, è più quotato nei sondaggi condotti da Istituti di ricerca demoscopica. Trattandosi di un’iniziativa identitaria storica della destra, il suo accantonamento avrebbe meritato una spiegazione nell’improvvisato vertice di Arcore tra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che non si vedevano dal mese di gennaio dopo le convulse giornate vissute per l’elezione del Presidente della Repubblica e conclusesi con il ritorno di Sergio Mattarella al Quirinale, votato da FI e Lega, insieme a PD e M5S, e non da FdI.
Al di là di riserve più o meno plausibili sull’articolazione della proposta per le relative implicazioni di portata costituzionale, il dato oggettivo è lo sgarbo che non può non essere messo in conto tra alleati che promettono di correre insieme per le prossime elezioni politiche.
“Uniti si vince” ha detto Berlusconi nel corso del citato vertice, ribadendo che sarebbe “una follia far vincere il centrosinistra”. Ma “l’unità si costruisce sui fatti” è stata la puntualizzazione di Giorgia Meloni, che secondo le voci di dentro avrebbe irritato il padrone di casa.
Un vertice di un’ora circa può dirsi un approccio di disgelo dopo una sequenza di scassi da ricucire, a partire dalle prossime amministrative per le quali, su 26 città capoluogo, FI, Lega e FdI puntano su 21 candidati comuni ed in 5 casi corrono separati per ritrovarsi in eventuali ballottaggi.
Resta sospeso il pomo della discordia intessuto in Sicilia intorno alla ricandidatura di Nello Musumeci, sostenuta da FdI, per la Presidenza della Regione. Sul punto, nel ritrovato vertice, la disponibilità personale di Berlusconi si è fermata difronte alla richiesta di Salvini di ritardarne l’annunzio ufficiale.
Per le regionali in Sicilia si vota in autunno ed i risultati che usciranno dalle urne non possono non essere presi come test di orientamento per le politiche che si celebreranno a pochi mesi di distanza. ùSul nodo Sicilia si scontano inquietudini che travagliano le diverse anime di FI e della stessa Lega i cui gruppi in atto costituiti nel Parlamento regionale sono più frutto di transumanze che emanazione delle rispettive forze elettorali.
Il che lascia spazi ad altre forme di aperture di relazioni non necessariamente coerenti con culture ed impostazioni programmatiche ispirate dai rispettivi partiti.
La questione delle alleanze è elemento distintivo sia sul piano etico che politico; ha delle peculiarità in Sicilia ma è un tema che attiene alla rigenerazione del modo di fare politica basato sulla lealtà dei rapporti con gli elettori ed con il mandato da loro conferito.
Dopo lo stravolgimento posto in essere nel corso della legislatura originata dal voto del 2018, con tre esperienze governative diverse e contraddittorie per i posizionamenti assunti dalla Lega nel primo esecutivo di Giuseppe Conte e della stessa e di FI nel successivo presieduto da Mario Draghi, è legittimo chiedersi cosa e come il centrodestra articolerà la propria alternativa.
Non basta ripartire dal programma del 2018, inapplicato, sorpassato, ma evocato da Berlusconi nel menzionato vertice, né fermarsi ad intese positive contro il ritorno al proporzionale senza la definizione, rivendica Giorgia Meloni, di “regole di ingaggio sulle modalità con cui formare le liste ed i programmi”.
Fin qui quello che è emerso da Arcore non sembra andare oltre un sorta di tentativo di riequilibrare, tra separati in casa, quote di leadership nelle Città, Regioni e nel Paese rispetto al patrimonio di voti su cui il centrodestra conta di poter prevalere.
A ben vedere, si tratta di una dinamica politicamente perdente, perché è stato il suo tallone d’Achille finché si è limitato ad entrare nelle cabine elettorali senza una identità ed una visione della società e di trasformazione della forma di Governo e/o Stato. Ed oggi lo rende simile al “campo largo” del centrosinistra, esponendolo alle tentazioni di nuove avventure chiamate realismo politico.