Dissero al Duce che era un cretino, ma Mussolini replicò: si ma un cretino fedele!
Pillole di storia del Fascismo – Prima parte
Abbiamo pubblicato pochi giorni fa un articolo sulla morte di Benito Mussolini e sulle peripezie che la precedettero e la seguirono, tra le quali la impiccagione a Piazzale Loreto unitamente alla compagna Claretta e ad un gruppo di Gerarchi.
Fra gli altri ci siamo soffermati su uno di essi, che ha avuto una vita molto strana, e che dall’Olimpo del Regime venne scaraventato all’inferno e finì, poi, per seguire la sorte del “suo” Duce, che mai tradì, ma non fu analogamente ricambiato dallo stesso: parliamo di Achille Starace.
Di Benito Mussolini si può dire di tutto, ma non che fosse uno stupido; purtroppo, come tutti i dittatori, aveva il culto della personalità che coltivava in maniera maniacale, e amava anche circondarsi di personaggi che lo alimentavano.
Probabilmente tutti, o la maggior parte, dei gerarchi della prima ora dei quali si era circondato, facevano a gara a ingraziarselo alimentandone anche il culto, e uno di essi fu proprio Achille Starace, del quale sembra che la stessa figlia, Fanny, avesse detto che respirava per ordine del Duce.
La storia politica di Starace lascia molto riflettere perché descrive un personaggio che, oltre ad alimentare leggende e dicerie, fa capire tante altre cose.
Paolo Deotto, saggista e blogger, ha scritto una dettagliata e variopinta biografia di questo personaggio, e da essa abbiamo estratto una sintesi della vita di Starace, per tanti aspetti superficiale, per tanti altri meticoloso e pedante, ma di una fedeltà assoluta a Mussolini, percorrendo la quale abbiamo ripercorso anche la storia del fascismo.
Starace era nato a Gallipoli (Lecce) il 18 agosto 1889 da una famiglia stimata e benestante: il padre aveva un florido commercio di vini ed olio.
Achille era un giovane esuberante, inquieto, studente svogliato e disordinato; sarebbe stato ufficiale valoroso nella Grande Guerra (avrebbe ricevuto una medaglia d’argento, quattro di bronzo, due croci al valor militare, una croce francese con stella, due promozioni per merito di guerra e il cavalierato dell’Ordine militare di Savoia), e avrebbe potuto occuparsi del commercio paterno, pronto a consolarsi dal tran tran quotidiano facendo l’atleta della domenica (gli esercizi fisici erano la sua mania) e il donnaiolo.
Non ancora diciassettenne, lasciò la Puglia per Venezia, probabilmente alla ricerca di qualcosa che a Gallipoli non trovava.
Come tanti ragazzi, cercava qualcosa di nuovo; ma aveva comunque un padre che lo pressava, che gli rimproverava l’abbandono degli studi ginnasiali, e il giovanotto prese a Venezia il diploma di ragioniere.
Ma nella città lagunare Achille Starace poté soprattutto coltivare, meglio che nella terra natia, provinciale e bigotta, la sua esuberanza verso il gentil sesso. Era piccolo di statura, ma robusto e ben fatto, né gli mancava quel modo di fare un po’ canagliesco che affascina tante donne.
Una di queste, Ines Massari, di un anno più giovane di lui, ne fu così affascinata che i due ragazzi si sposarono, precipitosamente, il 21 aprile del 1909; poco più di un mese dopo, il 29 maggio, nasceva la loro prima figlia, Francesca, chiamata Fanny, che sarebbe rimasta sempre il principale punto di riferimento affettivo del padre.
La moglie invece sarebbe rimasta sempre una figura secondaria, confinata a Gallipoli, dove il marito periodicamente faceva sporadiche ricomparse, con viaggi frettolosi che gli lasciarono però il tempo per avere un secondo figlio, Luigi, e un terzo, Vincenzo, morto alla nascita.
Il padre, nel frattempo, gli aveva dato incarico di aprire a Milano un deposito di vini pugliesi, sperando di trovare per il figlio una situazione di vita stabile. Ma è difficile avere una situazione stabile quando si è instabili: Achille continuava a coltivare le sue principali vocazioni, sport e donne (la moglie era alla tranquillizzante distanza di mille chilometri), e si dedicava poco e male al commercio di famiglia.
Erano gli anni dell’inquietudine generale e Milano era il fulcro di tante nuove idee, di eventi nuovi, impensabili nella sonnacchiosa terra del Salento.
E Achille Starace era giovane, esuberante, pieno di energie, e alla fine del 1909 conobbe anche, seppur per poche settimane, la prigione, dove finì per la sua partecipazione a tumulti irredentisti contro l’Austria.
Poi gli arrivò la cartolina precetto e, grazie al suo diploma di ragioniere e all’indulgenza delle autorità militari verso chi era stato in galera per motivi patriottici, il vivace giovanotto poté frequentare il corso allievi ufficiali di complemento, nella specialità di fanteria a lui più consona, i bersaglieri.
Qui sembrò aver finalmente trovato la sua collocazione: infatti alla fine del servizio di leva firmò per trattenersi in servizio.
Ma anche la vita militare evidentemente non lo soddisfaceva completamente. Chiese infatti il congedo poco prima della guerra in Libia, cercando di riprendere l’attività commerciale paterna a Milano e iscrivendosi a Venezia alla facoltà di Economia e Commercio, senza peraltro arrivare mai alla laurea.
L’Europa andava verso la Grande Guerra e l’Italia era divisa tra interventisti e pacifisti. Tra i primi facevano spicco figure come D’Annunzio (che ironizzava sull’Italietta pantofolaia), Marinetti, Corridoni (“la neutralità è dei castrati!”), e il direttore del Corriere della Sera, Luigi Albertini.
Erano gli anni in cui Filippo Tommaso Marinetti, noto come il fondatore del movimento futurista, alternativo al fascismo, opponeva al crepuscolarismo l’esaltazione dell’energia, della violenza, del vitalismo, giungendo a dire, nel suo Manifesto del Futurismo: “Noi vogliamo glorificare la guerra, sola igiene del mondo, il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore, e il disprezzo della donna.”
Fa senso, oggi, leggere in quel proclama il disprezzo della donna, ma all’epoca le donne erano considerate solo angeli del focolare, destinati a stare al loro posto e a dare figli alla patria.
Non sappiamo se Starace, che con i libri non fu mai in ottimi rapporti, avesse mai letto gli scritti di Marinetti: certamente però a Milano queste idee erano oggetto di esercitazioni intellettuali, per uscire dal grigiore di una nazione che comunque era povera, che veniva scossa dagli scioperi, mentre si ingrossavano le schiere degli emigranti che cercavano di fuggire dalla miseria in patria, per trovare finalmente quel qualcosa che potesse risolvere la sottile inquietudine di un mondo senza più valori precisi, la teorizzazione dell’esuberanza fisica come norma e ragione di vita, col suo schematismo, in fondo banale, che però attirava irresistibilmente tanti giovani.
Mussolini aveva fatto il gran salto e, da neutralista era divenuto fautore della guerra, tuonando dalle colonne del Popolo d’Italia contro “L’Italietta amletica dei rinunciatari”, pure se, di contro, i socialisti agitavano la bandiera del neutralismo, pensando così di interpretare i sentimenti delle masse operaie e contadine, ma agendo con quel confusionismo che poi, dopo la guerra, avrebbe avuto tanta parte nello spianare la strada al fascismo.
Alla fine del 1914 il giovane sottotenente dei bersaglieri Achille Starace, da poco richiamato alle armi, si trovava a Milano, al caffè Biffi in Galleria, dove arrivò un gruppo di giovanotti che agitavano bandiere rosse ed inneggiavano al neutralismo, mettendosi a beffeggiare il giovane ufficiale, che scattò come una molla, afferrò una delle bandiere, usandone l’asta come un bastone e si mise a menar legnate all’impazzata, trascinando col suo impeto anche diversi avventori del caffè.
I giovani socialisti scapparono con molte ammaccature, e la bravata in Galleria rese popolare lo scatenato pugliese, soprattutto tra i più scatenati interventisti, che si raccoglievano alla redazione del Popolo d’Italia e nella sede di un nuovo movimento politico, il Fascio rivoluzionario di azione internazionalista, che aveva tra i suoi esponenti di spicco Filippo Corridoni, Cesare Rossi e il futuro quadrunviro Michele Bianchi.
(1 – continua)