PILLOLE DI STORIA NOCERINA 1959: Ottocentocinquanta licenziamenti alle MCM
PILLOLE DI STORIA NOCERINA 1959: Ottocentocinquanta licenziamenti alle MCM
Siamo alla terz’ultima puntata di queste Pillole di storia nocerina raccontata da Angelo Verrillo, e parliamo di una delle più tristi pagine che riguarda l’inizio della crisi industriale dell’Agro, vale a dire il licenziamento, nel 1959, di 850 dipendenti delle Manifatture Cotoniere Meridionali.
Ecco come l’autore ricostruisce quell’evento.
La crisi delle MCM del 1959 segna l’inizio di un declino che porterà all’impoverimento progressivo di un territorio che ha disatteso le aspettative imprenditoriali. Dopo la guerra, per l’Italia e per Nocera, cominciarono gli anni della ricostruzione. Forse, quello fu il periodo nel quale il nostro popolo seppe esprimere le migliori virtù. Speranza nel futuro, straordinaria inventiva e creatività, grande impegno nel lavoro e nel perseguire gli obiettivi. In pochi anni, si portò a termine l’autostrada del sole da Milano a Napoli e si riuscì a creare le premesse per quello che poi sarà chiamato il miracolo italiano.
Nella nostra Città, dopo aver riparato i danni della guerra, le vecchie industrie ripresero la propria attività e molte altre se ne aggiunsero, in particolare nel settore conserviero. Poi, verso la fine degli anni ’50, anche da noi arrivò la modernità: ad annunciarla fu Domenico Modugno, cantando a squarciagola Volare, al Festival di Sanremo del 1958.
I motivi per i quali mi ostino a raccontare questa vicenda, sono di varia natura e, a differenza di quanto si possa pensare, non riguardano la politica, se non per il fatto che si riferiscono alla più significativa lotta operaia intrapresa a Nocera in tutto il Novecento.
Ben più importanti, a mio avviso, sono le conseguenze che quelle vicende ebbero sulla tenuta sociale della nostra città, sulla sua cultura e sulla sua civiltà.
Negli ultimi giorni del mese di gennaio del 1959 la direzione delle MCM, fece pervenire 850 lettere di licenziamento ad altrettanti lavoratori delle stabilimento di Via Napoli.
Quelle lettere, che avevano per destinatarie più di 700 donne, contenevano anche l’impegno da parte dell’azienda a corrispondere ad ogni lavoratore interessato la cifra di 300.000 lire come risarcimento per il danno che stavano per subire. In questo modo, il dramma si presentò nelle umili case di diverse centinaia di famiglie.
Dopo lo sconcerto dei primi giorni, si cominciò a riflettere sul da farsi: si tennero decine di riunioni, furono scritte interrogazioni parlamentari e si coinvolse l’Amministrazione Comunale che, a cominciare dal Sindaco Rossi, si schierò fin da subito a difesa dei lavoratori. Tuttavia, la direzione aziendale, sostenuta dal Governo, si mostrò irremovibile, decisa ad andare avanti nel ridimensionamento aziendale. Peppino Vignola, allora Segretario Provinciale della CGIL e i dirigenti locali del Sindacato, Salvatore Manzo e Galante Oliva non riuscirono neppure ad aprire una trattativa che consentisse almeno di ottenere una riduzione del numero delle persone che avrebbero perso il lavoro.
La notte dell’8 febbraio, si arrivò così all’ultima, disperata forma di lotta possibile: da quel momento, tutti i lavoratori che entravano in fabbrica, non ne uscivano più. Alcune delle donne interessate riuscirono a far entrare anche i bambini più piccoli, per poterli accudire e allattare, anche in quelle condizioni estreme. Restarono in quei capannoni per 17 giorni e 17 notti, nonostante il freddo intenso dell’inverno, dormendo su giacigli improvvisati, mangiando il cibo che da fuori si riusciva a fargli arrivare, in condizioni igieniche più che precarie.
Il giorno dopo, centinaia di poliziotti e carabinieri, giunti da varie parti, furono schierati a Via Napoli e la fabbrica non fu più raggiungibile, sia da Pagani che da Nocera: era il primo, violento tentativo di impedire i rifornimenti agli occupanti, ridurli alla fame e costringerli alla resa.
A difesa di quegli operai si creò la più grande unità sociale mai raggiunta nella nostra Città: si offrivano soldi, cibo, vestiario e si organizzarono decine di cortei e manifestazioni. Dopo i primi giorni, quando la notizia di quella lotta straordinaria si diffuse in tutto il paese, a Nocera giunsero i più grandi dirigenti nazionali della sinistra e del sindacato e decine di giornalisti delle testate più importanti dell’epoca, tra i quali un giovane Ermanno Rea, autore di un servizio che, a mio avviso, avrebbe meritato il premio Pulitzer.
Anche in quella occasione, non mancò il sostegno di grandi uomini di cultura. Tra i tanti, il filosofo Cleto Carbonara che, memore dei suoi trascorsi al Liceo Vico, durante una delle iniziative di quelle giornate, commosse i presenti con un nobile e accorato intervento ed il commediografo Raffaele Viviani, che guidò una delegazione di intellettuali napoletani.
Durante le trattative, cui le MCM furono finalmente costrette, non si riuscì ad ottenere il ritiro dei licenziamenti e neppure la riduzione degli stessi. Si ottenne solo l’impegno dell’azienda a costruire una nuova fabbrica che, dopo qualche anno, fu effettivamente realizzata e fu chiamata MECON (Meridionale Confezioni): sorse sui suoli dove oggi ha la propria sede l’INPS (Rione Ciclesi – ndr).
Ancora oggi, moltissime foto testimoniano l’affetto con il quale l’intera Città accolse quelle donne all’uscita dalla fabbrica, la mattina del 28 febbraio 1959. Avevano perso il lavoro e la loro dignità di lavoratrici e molte di loro furono costrette ad emigrare al nord, alla ricerca di un nuovo inizio per le loro famiglie.
Tuttavia, è vero che senza quelle sconfitte e senza il coraggio e il sacrificio di tanti lavoratori, non si sarebbero mai ottenute le conquiste degli anni successivi: la cassa integrazione, lo Statuto dei Lavoratori ed una maggiore tutela sui luoghi di lavoro.
Per una strana coincidenza della storia, dopo solo pochi mesi venne abbattuto un palazzo del Corso per realizzare il Prolungamento Garibaldi (ora Via Attilio Barbarulo – ndr), destinato a diventare la principale porta d’ingresso alla Città quando, il 16 luglio 1961, verrà inaugurata la Pompei Salerno ed il Casello autostradale di Nocera Inferiore. Nel frattempo, gli enormi palazzoni edificati ai lati di quella strada, già lasciavano presagire il futuro sviluppo della nostra comunità, almeno a quanti avessero voluto, o saputo capire.
(11 – continua)