I giovani, il Sud e il lavoro: quando la normalità diventa anormalità
I giovani, il Sud e il lavoro: quando la normalità diventa anormalità.
I “normali” diventano “anormali”. Questo il risultato di una visione imposta alla società odierna
Oggigiorno si dà per scontato che un giovane, diplomato o laureato che sia, desideroso di entrare nel mondo del lavoro debba emigrare. La meta più remota è il Nord Italia, dove vi sono migliori possibilità, seguita dall’Europa continentale. Un tempo figurava anche il Regno Unito, prima dell’uscita dall’Ue mentre gli Usa rimangono ancora una realtà ambita che presenta numerosi vincoli per chi lo desidera.
Così un giovane meridionale si trova “costretto” ad emigrare. Chi si astiene viene etichettato come uno “sfigato”, un “mammone” o un codardo. Se si tirano in ballo le proprie radici o il desiderio di restare nel proprio paese natio si viene considerati antiquati. Se è vero che è oggettivamente verificato che ci siano migliori condizioni di vita altrove, è anche vero che ciò non comporti automaticamente che chi resti – nel Sud – sia un mammone, uno sfigato e un codardo. Nessuno lo nega, sarebbe da ingenui. Ma sottolineare tali aspetti, che anche se non condivisi vanno rispettati, è errato.
Legittimo e per nulla imbarazzante è provare un legame verso la propria realtà e territorio. Chi resta è consapevole delle difficoltà che incentrerà per inserirsi nel mondo del lavoro, ma non è un codardo semmai un impavido proprio per questo motivo. Un po’ come un soldato che stanzia in prima linea o come un comandante che guida la sua nave nel mare in tempesta. Verso di lui dovrebbe esserci ammirazione, non disprezzo.
Ma la società odierna si è imposta una visione che è si è così radicata da trasformare l’anormalità in normalità. Ovvero che chi emigra fa la cosa giusta e chi non emigra la cosa sbagliata. Quindi i giovani “normali” sono quelli che emigrano e quelli “anormali” coloro che restano, legittimamente.
Non è così altrove. Nel Nord Italia o in altri Paesi europei chi non emigra non è bollato come un inetto, pertanto essa è una visione presente soltanto nel Meridione scaturita dall’assenza oggettiva di opportunità. Ma ciò non fa di chi vuole restare un perdente, semmai un soggetto che sceglie una strada più lunga e tortuosa. Non una strada sbagliata, pericolosa. E costui va rispettato.
Mi capitò di assistere a un intervento di una collega, in facoltà, due anni fa. Nel corso di un seminario sulle opportunità lavorative nel Meridione lei si alzò e dichiarò senza timore che non sarebbe mai emigrata perché amava la sua terra ed era consapevole delle difficoltà. Aggiunse di non sentirsi una mammona ma una ragazza libera di scegliere il proprio futuro.
I docenti l’applaudirono commentando che possedeva molto coraggio e che la sua scelta era legittima. E che per questo bisognava ammirarla. Ed avevano ragione.
Ecco, lei fu l’unica a riuscire a strapparsi da questa visione unica dominante autoimposta dalla società o imposta dal capitalismo concentrato per il 50% in una data area geografica (Nord Italia).
Oggi quel che manca non è solo il coraggio ma anche la capacità di ragionare, lo spirito critico.
Condivido l’articolo, quello che manca è soprattutto la volonntà di sfidare questa tragica realtà che ci hanno imposto
sin dall’unificazione ormai. Un paese a due velocità per il benessere di una e la sofferenza dell’altra. Ma a noi del Sud il coraggio non manca e chi dice che ci piangiamo addosso è un demente. La nostra dignità ce la sappiamo far rispettare
nonostante tutto. Manca questo…un’identià ed un attaccamento al proprio territorio.