Un altro grande maestro della canzone italiana e partenopea ci ha lasciato, giovedì 17 febbraio scorso, all’età di 85 anni, compiuti due giorni prima; anch’egli se n’è andato in punta di piedi come tanti altri artisti che hanno accompagnato la nostra vita.
Era ricoverato al Policlinico Gemelli di Roma per problemi renali che da tempo lo affliggevano.
Il fatto che tutti ne abbiano tessuto gli elogi, compresi organi di stampa che hanno taciuto in altre occasioni, sta a significare che abbiamo perduto non solo uno degli ultimi grandi interpreti della musica partenopea e italiana, ma anche uno dei grandi maestri di chitarra che abbiamo avuto in Italia, che poteva ben competere con i virtuosi di questo strumento nel mondo; qualcuno lo ha definito “monumento della canzone napoletana e l’ultimo dei grandi”.
Io che ho avuto la fortuna di conoscerlo personalmente qualche anno fa, in occasione di uno dei suoi ultimi spettacoli a Casarlano di Sorrento, desidero ricordarlo e commemorarlo in prima persona, riconoscendogli lo stile sobrio e raffinato che lo distingueva, e che lo ha fatto apprezzare dappertutto: anche il regista americano Turturro lo coinvolse nel film “Passione” del 2010, dedicato a Napoli, nel quale Fausto Cigliano interpretò “Marzo”.
Nato a Napoli il 15 febbraio 1937, a 15 anni rimase orfano di padre; penultimo di sette fratelli, Fausto Cigliano aveva coltivato sin da bambino la passione per il canto, da giovanissimo si era innamorato della chitarra e di Roberto Murolo.
Soggetto, però, a frequenti crisi asmatiche, dovette
accontentarsi di seguire le performance canore dei suoi quattro fratelli maggiori che facevano parte del coro del Teatro San Carlo.
Intraprese gli studi di ragioneria e proprio un compagno di classe gli regalò la prima chitarra.
Guarito dall’asma, debuttò nell’orchestra di Lello Greco specializzata negli slow della nuova canzone napoletana del dopoguerra.
Nel 1955 dopo una entusiasmante stagione estiva in un importante Hotel di Ischia superò brillantemente una audizione Rai presso la sede di Napoli, e da allora partecipò frequentemente a diverse trasmissioni radio televisive.
Nel 1956 debuttò come cantante-chitarrista al Festival di Napoli dove fu chiamato per riassumere i motivi in gara insieme ad Amedeo Pariante e Sergio Centi; l’esperienza si ripeté l’anno successivo con Armando Romeo e Ugo Calise; in pratica i quattro più celebri chitarristi italiani del momento ai quali si unì Cigliano.
Nel 1959 approdò al Festival di Sanremo portando in finale con Nilla Pizzi la canzone ‘Sempre con tè, composta da Roberto Murolo.
Qualche mese più tardi, sempre nel ’59, vinse il Festival di Napoli con ‘Sarrà chi sa?’, cantata assieme a Teddy Reno.
Negli anni cinquanta partecipò ai film Classe di ferro di Turi Vasile, Guardia, ladro e cameriera di Steno, Ragazzi della marina di De Robertis, Cerasella di Raffaello Matarazzo.
Nel 1958 partecipò al Festival di Vibo Valentia, dove si classificò quarto con la canzone “Che sogno”, alle spalle di Jula De Palma.
Ripeté l’esperienza nel 1959 con una canzone scritta da lui stesso, Baciatemi, e si classificò al secondo posto.
Partecipò al Festival di Sanremo dal 1959 al 1962, e si ripresentò nel 1964 interpretando il brano “E se domani”, che diverrà un grande successo nella versione interpretata da Mina.
Nel 1961 partecipò al “Giugno della Canzone Napoletana”.
Nel 1967 condusse alla TV dei ragazzi il programma Chitarra Club.
Nel 1973 partecipò alla Piedigrotta di Napoli.
Nel 1974 partecipò a Canzonissima, arrivando in semifinale con la canzone Nella mia città.
Nel 1992 compose la colonna sonora dello sceneggiato in 60 puntate Camilla, e partecipò, eseguendo musiche sue, al film Identificazione di una donna di Michelangelo Antonioni, la sua esperienza cinematografica più blasonata
Nel 1999 pubblicò il CD” Teatro nella canzone napoletana”, che raccoglie 13 canzoni di notissimi artisti teatrali, (da Totò a Pupella Maggio, da Eduardo e Peppino De Filippo ad Angela Pagano, da Raffaele Viviani a Nino Taranto), interpretate dallo stesso Cigliano, accompagnato alla chitarra dal Maestro Mario Gangi.
Nel 2002 incise “…e adesso slow!”, in cui reinterpreta a modo suo, traducendoli in napoletano, alcuni classici americani degli anni ’40 e ’50 resi famosi, all’epoca, da Nat King Cole, accompagnato da arrangiamenti per grande orchestra scritti dal Maestro Rino Alfieri.
Nel marzo del 2004 incise L’oro di Napoli, raccolta di classici napoletani con qualche omaggio ad autori contemporanei, quali Sergio Bruni (Carmela) e Claudio Mattone (‘A città ‘e Pulecenella). Nello stesso anno ricevette a San Salvatore Telesino (BN) il Premio Nazionale Anselmo Mattei, una manifestazione annuale di arte, cultura e spettacolo.
Nel 2008 ricevette il Premio Mia Martini “Alla Carriera” a Bagnara Calabra, paese natale dell’indimenticabile artista scomparsa.
Nel 2010 partecipò al film sulla canzone napoletana, diretto da John Turturro, “Passione”, con la canzone “Marzo”.
L’ultimo disco, “Silenzio Cantatore”, lo incise nel 2013, con Gabriella Pascale.
Il 13 luglio 2015, in occasione dei festeggiamenti per il sessantennio della carriera, ricevette dal sindaco di Napoli, Luigi de Magistris, la medaglia della città e una targa in “segno di profonda stima e ammirazione per il suo ruolo di ambasciatore della musica napoletana nel mondo”.
Nel 2017 partecipò al programma di Gino Aveta “Il nostro Totò” andato in onda su Rai Due con la canzone “Che me diciste a ffà (A. De Curtis)”; nello stesso anno partecipò al programma “MilleVoci” con “Ho tanta voglia di cantare”.
Cigliano è stato autore anche di canzoni di particolare delicatezza e significato, come Ossessione ’70, Napule mia, Ventata nova, Scena muta, in alcuna delle quali emergono aspetti di vita che saranno poi ripresi da cantanti contemporanei come Pino Daniele.
Ma al di là della doverosa ma sterile elencazione dei suoi successi e delle tappe della vita, piace ricordare la delicatezza delle interpretazioni di Cigliano, mai passionale, mai sopra le righe, un artista da annoverare nella non larga cerchia degli interpreti confidenziali, che, con la sua voce gutturale e profonda, ti entrano nell’animo in punta di piedi, e che non ti stancano mai.
Aveva interpretato pezzi classici napoletani di Sergio Bruni e Renato Carosone fino a brani di Enzo Gragnaniello, Franco Del Prete e Almamegretta. Per anni è stato un monumento della musica napoletana, con l’obbiettivo di preservarla, in qualche caso anche sperimentando.
Oltre alla sua arte, alla sua voce di velluto e al “recitar cantando”, era il simbolo della gentilezza e dei modi cortesi di un gentleman d’altri tempi, e anche di un’altra Napoli.
E’ così che mi piace ricordarlo, ed è così che, anche a nome di Ulisse, gli rendo omaggio: “Addio Fausto, chitarrista raffinato, eri l’ultimo dei grandi”.