Nel precedente articolo sui Riti natalizi sono stato abbastanza faceto e, a parte il ricordo di “Parenti serpenti”, ho trattato l’argomento in maniera scherzosa.
Purtroppo le festività natalizie e di fine anno non sono solo per coloro che si possono permettere di organizzare i pranzi e le cene, oppure passare le feste sui campi di sci, o andandosene in giro a vedere i mercatini di Natale, come ho fatto negli anni passati.
Infatti, accanto alla categoria di questi “fortunati”, c’è una umanità per la quale Natale e Capodanno sono giornate come le altre, chi è più sensibile probabilmente le considera peggiori delle altre, perché vede intorno gente indaffarata che si affanna a fare spese, a comprare doni, o acquistare gli ingredienti per cene e pranzi.
C’è una umanità di “poverelli” che la maggior parte trascura, involontariamente perché indaffarata, o volontariamente perché forse si sente in colpa e cerca di ignorare il problema.
E non parlo tanto dei poverelli che vengono rifocillati da tante organizzazioni di volontariato, che quanto meno riservano ad essi un pasto caldo, come fa, ad esempio, il convento di Sant’Antonio e San Francesco qui a Cava, oppure la Caritas diocesana, oppure le varie organizzazioni di volontariato che sono sul territorio; parlo di quelli che nessuno assiste, nessuno considera, e che vengono trascurati da tutti.
Pochi parlano e lodano la comunità francescana di Cava che quotidianamente assicura un pasto caldo ad almeno una sessantina di bisognosi; e se qualche giorno capita che la cucina dei frati sia chiusa, vedi vagare tanti disperati che si vedono privati del quotidiano pasto caldo, ma anche di un momento di solidarietà; pure essi sono poverelli che non possiamo ignorare.
A giorni alterni i media parlano delle migliaia di persone che sono accampate nelle stazioni ferroviarie, o magari all’esterno delle stesse sotto le pensiline che quanto meno proteggono dalla pioggia: e spesso viene trascurata l’assistenza che associazioni di volontariato fanno, come ad esempio da anni qualche club Lions partenopeo, i cui soci preparano cibi e bevande calde e li offrono a questi poverelli, che tanti, troppi, si infastidiscono a vedere, probabilmente inconsapevolmente vorrebbero rimuoverli dalle loro coscienze e non riescono a farlo perché li incontrano ad ogni passo, nelle stazioni, nelle gallerie, sotto le pensiline che coprono i portoni della gente che almeno può permettersi di avere una casa.
Ma sono poverelli anche i profughi che vagano per l’Europa in cerca di un paese che li accolga, di una popolazione che riservi loro un tantino di considerazione, che consenta loro un minimo di integrazione.
A tal proposito come non ricordare il dramma di migliaia di persone accampate al confine tra la Bielorussia e la Polonia, ancora ricoverati in precarie condizioni in una sterminata distesa?
Qualche giorno fa la giovane giornalista cavese, Bianca Senatore, quale inviata di Repubblica, è andata a constatare di persona. Ed è rimasta esterrefatta.
In verità noi italiani non siamo privi di sentimenti di umanità, abbiamo sempre dimostrato le nostre peculiarità di accoglienza e interazione, fatta eccezione per una fetta della popolazione che si ispira a sentimenti di xenofobia: purtroppo abbiamo sofferto per circa due anni perché nel nostro Governo c’è stato un Ministro degli interni il quale, se avesse potuto, avrebbe usato cannoni e mitragliatrici contro gli immigranti.
E non sono pure poverelli i ricoverati delle “R.S.A – Residenze Sanitarie Assistenziali”, quegli anziani che non hanno potuto o voluto rimanere con i parenti ed hanno preferito, tante volte “costretti”, a ricorrere a questo tipo di sistemazione in attesa che giunga il momento della “falce nera” che li vada a prelevare per portarseli via? C’è chi ha detto che questi luoghi, che una volta venivano denominati “ricoveri”, sono le anticamere del cimitero, e non si può non essere d’accordo.
E quanti di questi poverelli sono i genitori di quelli che trascorrono le loro vacanze natalizie e di fine anno sulle montagne innevate, e che non hanno potuto, o voluto, trovare il tempo per portare un saluto, un augurio, un oggettino ricordo ai loro genitori, perché presi dagli impegni preparatori della vacanza.
Mi rendo conto che probabilmente sono eccessivo nell’accostamento, ma chi, come il sottoscritto, si è formato tra parrocchia e convento, che ha vissuto la propria adolescenza e giovinezza alla scuola altamente formativa del vangelo, tra Cristo e San Francesco, che è cresciuto a pane e catechismo, che ha metabolizzato quegli insegnamenti, li ha somatizzati e sono diventati parte di se stesso, non può fare a meno di riflettere su tutto ciò, sui valori che gli sono stati inculcati, confrontandoli con quelli di altri.
Ed è per questo che non posso tacere queste umili parole, in un periodo dell’anno che si ispira alla intimità e che ti porta, talvolta involontariamente, a tali riflessioni.
E per questo motivo che concludo augurando il buon Natale anche ai “poverelli” e a tutti quelli che nessuno ricorda.
Ancora buon Natale a tutti.