Negli ultimi trent’anni la politica italiana è stata commissariata a Palazzo Chigi per ben tre volte: con Azeglio Ciampi, Mario Monti e Mario Draghi.
Sintomo di debolezza o di sterile conflittualità dei partiti, accentuatosi nell’ultimo ventennio caratterizzato dal deficit propulsivo di PD e FI, nati dalle ceneri dei partiti della prima Repubblica.
Le loro leadership in Parlamento, nella legislatura in corso, sono state soppiantate dall’ascesa del M5S, originato dal basso, e dall’estensione nazionale del verbo della Lega. Sull’onda dei loro successi elettorali, per la prima volta nella storia della Repubblica, la scelta del Premier é ricaduta anche su una figura non solo estranea al circuito dei partiti attivi, ma addirittura al di fuori dalle loro ramificazioni nelle istituzioni.
In omaggio al “vaffa” per la cosiddetta “casta” è prevalsa l’idea dello “Avvocato del popolo” incarnato da Giuseppe Conte, proveniente dal mondo delle professioni, ma alieno nell’universo della politica. Ha guidato due compagini di segno diverso: prima con un “contratto di Governo” tra M5S e Lega e dopo con una formula di maggioranza costituita da M5S, PD ed IV.
Venutigli meno il sostegno di quest’ultimo partito, l’Avvocato del popolo ha chiuso la sua permanenza a Palazzo Chigi dopo aver tentato un recupero di sostegni da parlamentari sciolti da vincoli di gruppo.
Su questo punto di caduta di credibilità delle forze parlamentari sono riconducibili le preoccupazioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nella decisione di conferire l’incarico di Presidente del Consiglio dei Ministri ad una figura di garanzia per il Paese ed autorevole nel contesto internazionale, a fronte di una devastante pandemia sanitaria, sociale ed economica, e per la necessità di incardinare le riforme per la ricostruzione.
Interprete e guida Mario Draghi, intorno a lui si è formata una maggioranza unica per quantità e diversità di cultura politica. Tranne FdI ed una frangia di sinistra, rimasti a presidiare l’area delle opposizioni, della cordata fanno parte tutti gli altri: dal M5S alla Lega, dal PD a FI ed a seguire i cespugli delle diverse aree sedicenti centristi e/o convergenti a destra o a sinistra.
Date le contraddittorie ispirazioni ideologiche e di rappresentanza sociale non é facile discernere il peso specifico dei loro contributi al complesso delle azioni poste in essere dal Palazzo Chigi.
Si comprende, viceversa, l’ispirazione ragionevolmente tecnocratica delle misure dei provvedimenti decisi dal Consiglio dei Ministri all’unanimità ed approvati con i mugugni del Parlamento. É una prassi instaurata in costanza di un regime di emergenza e motivata dalla destrutturazione di forze politiche delegittimate dalle piazze e dall’astensionismo per la loro incapacità di organizzare un nuovo paradigma di rappresentanza del paese reale.
In atto è in corso un loro risveglio rivolto all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Aperto il cantiere si lavora per scongiurare gli antichi timori dei cosiddetti franchi tiratori che rendono incerta qualsiasi candidatura. Si troverà la quadra su un nome.
Ma la sola autorevolezza del nuovo Capo della Stato è sufficiente a ridare dignità politica al Parlamento? Senza una rivisitazione costituzionale al passo con l’attualità permane la prospettiva della sua ingovernabilità o della riduzione delle relative prerogative, tra cui la scelta del Presidente della Repubblica spesso in balia dei traccheggi di uomini senza volto politico.
Con buona pace per la mediazione posta in essere dai cultori di suggestivi ritorni alle stagioni del centrismo vissuto tra partiti di massa, oggi incompatibile con un insieme pulviscolare di rappresentanze costruite su carismi personali o di protesta piuttosto che riconoscibili in portatori di idee ed interessi sociali diffusi.
Fino a quando durerà il tira e molla sulle riforme costituzionali per dare senso alle rappresentanze democratiche?
Il discredito delle istituzioni elette dal popolo non può che accrescere il dominio dei poteri forti extrapolitici.