Dopo elezioni: soddisfatti e delusi… Draghi tira dritto
I risultati che contano usciti dalle urne delle grandi città consegnano al PD la patente di guida per un nuovo centrosinistra, puniscono l’improvvisato civismo del centrodestra e, devastandone le dimensioni, disegnano la strada verso il nullismo politico del M5S.
E’ quanto emerge dai numeri che, opportunamente, vanno inquadrati in un contesto di consultazioni amministrative disertate da meno della metà degli elettori interessati.
Non sono paragonabili, né sovrapponibili rispetto ad una ipotesi di consultazione politica nazionale, ma sono sempre sintomi di una campionatura di ciò che bolle negli orientamenti del corpo elettorale.
Il primo dato di riflessione, perché più appariscente, è l’astensione la cui consistenza va al di là dell’indifferenza, marcando sfiducia verso le offerte messe in campo dai partiti.
Si tratta di un serbatoio di volontà la cui mobilitazione può far pendere il piatto della bilancia per una parte piuttosto che per un altra nell’ottica di un rinato bipolarismo.
Il secondo dato riguarda l’allocazione del “grillismo” di Palazzo rivelatosi residuale sul piano elettorale e neanche determinante per l’elezione del Sindaco di Napoli di cui i suoi esponenti condividevano la candidatura.
L’altra parte del Movimento, popolare o populista che dir si voglia, che ha animato spirito e vittoria del 2018, è, verosimilmente, rintracciabile nell’astensionismo. E si tratta di una forza che ha una sua valenza politica non tanto per i prossimi ballottaggi quanto per nuovi sbocchi futuri o confluenze alternative al sistema dell’establishment partitocratico.
Il terzo dato è la competizione o conflittualità Meloni/Salvini che premia Fratelli d’Italia e penalizza la linea ondivaga della Lega di Governo e di contestazione.
Brucia sula pelle del Segretario del Carroccio soprattutto il risultato di Milano dove i voti riportati dal PD superano quelli conseguiti dall’insieme di Lega, FdI e FI.
Il che fa dire ad Enrico Letta che “la destra è battibile” e che il risultato uscito dalle urne “rafforza il Governo Draghi”, come se se ne volesse assumere il ruolo di tutor rispetto alle fibrillazioni dei distinguo di Matteo Salvini sull’operato del Consiglio dei Ministri.
L’ultima delle quali è il cosiddetto strappo sulla delega fiscale: esplicitato a risultati elettorali negativi potrebbe essere interpretato come un fallo di reazione.
Tirato in ballo da una parte e dall’altra, Mario Draghi ha sempre detto che le vicende dei partiti non entrano nelle stanze di Palazzo Chigi fino a ribadire che i risultati elettorali “non rafforzano né indeboliscono il Governo”. Come dire: litigate dove e quando volete, la crisi post-pandemica ha cambiato clima e metodo di governare il Paese. Anche se non completamente metabolizzati dalle forze politiche in Parlamento “le cose che si debbono fare si fanno” per rendere l’Italia affidabile per l’attuazione del programma di rinascita e sviluppo e si va dritto per investire in speranza piuttosto che in consensi.