Qualcuno ha detto e ha scritto che la solitudine può essere vista come un calcolo algebrico, nel senso che una solitudine è negativa, ma se si accoppia con un’altra solitudine, la seconda diventa positiva, e tutti sanno che un segno positivo e un segno negativo si annullano: per cui, in base a questa teoria, due solitudini si eliminano e l’unione di due persone sole comporta che esse non siano più tali.
Non vogliamo entrare nel merito della cultura, né delle conoscenze di chi ha scritto questo, ciascuno è liberissimo di esprimere le proprie opinioni.
Personalmente non sono totalmente d’accordo con questa teoria, che per la mia esperienza sembra alquanto strampalata, specialmente se applicata a persone di una certa età.
Riconosco che, fino a una certa età, questa teoria potrebbe funzionare, specialmente se le due “solitudini” hanno impegni professionali, lavorativi, sociali, perché le loro giornate sono assorbite da interessi vari e le due persone sole evidentemente si ricongiungono nelle ore serali; in questo senso la teoria può funzionare.
Ma chi non ha più una vita ancora attiva professionalmente, potrebbe essere tratto in inganno dal miraggio prospettive rosee, che alla fine potrebbero risultare deludenti.
Chi frequenta, per distrarsi dalla routine e dalla banalità del quotidiano, persone di una certa età, è portato a riflettere su tutto questo, specialmente osservandoli.
E vede coppie di persone anziane che, più che vivere allegramente la loro vita, sembrano vegetare in una routine di vita che apparentemente sembra positiva, ma sui volti di queste persone, pure accoppiate, si intravede, si percepisce, si intuisce una sconfinata tristezza, che solo in alcune occasioni sembra sopirsi.
Le associazioni, i circoli ricreativi, le balere, nelle quali tante coppie anziane passano le loro serate, mostrano con grande evidenza, a chi si sofferma a guardare attentamente l’umanità dei frequentatori, questo stato di cose.
Giovanni, vedovo di Assuntina, si è unito con Mariangela; Roberto, singolo impenitente, ha deciso di passare gli ultimi anni della sua vita con Rosa…
Quante sono questa coppie tardivamente compostesi, che hanno sperato di in una stagione di ringiovanimento, e che probabilmente si illudono di averla conquistata, sui cui visi emerge, sotto l’apparente sorriso di circostanza, una tristezza che talvolta spaventa.
La cosa che colpisce è che in paesi come il nostro, dove il senso della famiglia, delle consolidate amicizie, è ancora molto sentito, si subisce di più questa situazione rispetto ad altri paesi nei quali si è abituati ad altri ritmi, a un diverso modo di concepire la vita di coppia, dove magari i figli non aggregano come potrebbe essere da noi, anche se pure qui le cose stanno cambiando perché numerosi sono i casi di figli che si allontanano dalla famiglia, per svariati motivi, prima fra tutti quelli lavorativi.
Tanti anni fa un amico, i cui genitori erano emigrati negli Stati Uniti, raccontava, rientrando dai suoi annuali viaggi di visita ai genitori ancor in vita, che già allora le famiglie vivevano separate sin dall’inizio; marito e moglie impegnati in attività diverse, passavano la giornata fuori casa, si riunivano, se tutto andava bene, a cena, salvo che qualcuno di essi non avesse impegni serali fuori casa.
E nei fine settimana ognuno se ne andava per i fatti suoi, chi a fare il weekend con gli amici, oppure con il boy-friend, o la compagna occasionale.
Già all’epoca la famiglia era un pro-forma che, almeno lì, tutti accettavano con naturalezza.
D’altronde si sa che in alcuni paesi poche cose sono stabili, non solo la famiglia, ma, ad esempio, la casa; se ne acquista una non per viverci una vita, ma per cambiarla alla prima circostanza favorevole, per un aumento di valore, per acquistarne una più grande, o magari più piccola: si ha l’impressione che siano un popolo di zingari che vivono in roulotte, in uno stato di precarietà perenne, che si trasmette anche alla famiglia.
Noi non siamo mai abituati a questo modo di vivere, la casa si acquista con la intenzione di abitarci per tutta la vita; ci si sposa per cercare di vivere insieme l’intera vita, augurandosi che la morte arrivi contemporaneamente per entrambi, e la mancanza del compagno di vita spinge a cercare una nuova compagnia che alla fine potrà risultare anche deludente; d’altronde non senza difficoltà ci si adatta alla convivenza con una persona estranea, anche perché i due provengono da esperienze di vita diverse, e spesso i ricordi influiscono negativamente su entrambi.
Qualche anno fa è morto improvvisamente Lello, un caro amico che molti anni prima aveva perduto la moglie che adorava, e la cosa era reciproca. Da quella morte non si era mai più ripreso, nonostante il suo carattere allegro e la sua spiccata predisposizione per i rapporti con gli altri.
Poi un giorno, anni dopo la scomparsa della moglie, lo trovai seduto al tavolo di un bar in piazza, e mi presentò la “compagna”, una donna russa venuta in Italia per sistemarsi, e lo aveva fatto con questo amico che, fra l’altro era abbastanza danarosa.
La unione con questa donna aveva determinato una frattura con la figlia, con la quale non si frequentava più, ulteriore problema che si aggiungeva a quello generale.
La donna, Svetlana o Ludmilla, non ricordo più come si chiamava, mi degnò a stento di uno sguardo distaccato, lui appariva contento, ma sul suo volto si leggeva una grande tristezza, che contrastava con la freddezza del volto di lei, cosa comprensibile per entrambi: lei era venuta in Italia per trovare il buon partito, lui l’aveva accolta per avere il calore di una compagna, ma la sua intelligenza e sensibilità gli facevano capire che non avrebbe mai potuto trovare il calore della moglie, che evidentemente egli ardentemente cercava.
Quante centinaia di miglia di casi analoghi ci sono?
E sui volti di tutte queste persone si vedono i segni incancellabili dalla solitudine.