Vi ricordate quando le nostre maestre ci ripetevano sempre questo vecchio luogo comune: copia e copiella? Beh, nei giorni nostri c’è da dire che la carenza di idee nei creativi è stata ben rappresentata in parecchi film e serie televisive.
L’ansia che coglie chi ha bisogno di una formula vincente per il titolo di un Festival, per una campagna pubblicitaria, per un libro o anche solo per un corso universitario e solo parzialmente mitigata dalla consapevolezza di aver già trovato uno sponsor o un politico, di lungo o effimero corso, in grado di finanziare la straordinaria, unica, fantastica idea plagiata.
Oddio, si dice il creativo, posso usufruire di questi fondi speciali, posso vincere la garetta, posso almeno ottenere un piccolo Pon, un Pony, un ponino, un grazioso muletto, ma … su cosa lo faccio? Come posso apparire innovativo, quando magari sono solo ‘divorante’? nel senso che “me devo magna i denari”, e dell’innovazione non me n’è mai fregato nulla? Ecco che subentra la genial copia, la genia copiante, l’ingegno scoppiazzante (sic), che risolve il problema senza tanti sforzi.
Come fare, e, soprattutto, come farla franca?
Innanzitutto, occorre trovare una fonte, o ancor meglio una pluralità di modelli. Oggi, con Facebook, la cosa e semplicissima. Scegliere due o tre figure di spicco, quelle di ‘veri’ creativi, quelli che ne inventano una al giorno e le regalano pure, perché non avendo o non volendo un ‘ducetto’ alle spalle, lanciano idee scoppiettanti fuori di sé: matti d’invenzione, folli d’immaginazione, di libertà e creatività, i quali, per non gonfiarsi fino a scoppiare, o semplicemente per non cedere d’inedia d’inedite idee, le divulgano bellamente, con effusione d’affetti.
Infatti, da un lato c’e chi invia idee, e dall’altro chi invidia idee, solo perché ne è privo e si attacca a chi ce l’ha per carpigliele: animale fantastico, un misto sanguisuga-iena-avvoltoio. Costui trova scorciatoie, per presunta noblesse, e talvolta si convince persino d’aver partorito davvero l’idea nuova.
Più spesso sono in malafede: cambiano un particolare, una sillaba, una frase. Un concerto di notte diventa un notturno concertato; una sfilata di moda, una ‘stirata alla moda’; un soffio sofferto, la sofferenza soffiata … e così via, in un gioco di rinvii in cui si smarrisce senno e coseno.
Tutto ciò accade sovente in musica. In tv, con gli spot, ne abbiamo decine di esempi. Basta prendere lo scheletro armonico di un brano celebre, metterci su un temine idiota, per sfornare un brano di successo, mentre stai ascoltando una melodia d’altri, accorciata/acconciata con sbuffi buffi e sberleffi. Una sforbiciata qua, un taglietto là, e l’acconciatura e servita. Magari il primo autore, forse un compositore, ha ideato quel pezzo dopo anni di ricerca, ma ecco, il pizzaiolo dei suoni ne fa qual che vuole, lo trasforma in qualcosa di molto digeribile.
Si tratta appunto d’una specie di fast food della cultura, dove la digestione garantisce il successo.
Anche con i Festival e i concerti la si fa franca. La caratteristica dell’innovazione, richiesta ormai in tutti i bandi, si declina in tale improbabile variante da non meravigliare alcuno quando, realizzata, diviene pacchiana messa in opera, con fari-spot che sventagliano i soliti quattro colori orrendi sulle colonne di un sagrato o nella piazza d’una città.
La meraviglia si vende un tanto al grammo, e perché vi lamentate, se pure i bimbi fanno “ooooh”? Un pianoforte a Salerno in ogni androne, su ogni scala, e più ne sono meglio è, dimenticando il primo ideatore, magari un fiorentino; arpe e orchestre in ogni piazza, in ogni anfratto. Sbiadire quanto basta, scolorire con burocratica arguzia.
Cosa resta delle idee primigenie in tale rutilante gioco di repliche e replicanti? In questi format che fanno ormai capolino anche in tv e, ahimè, persino in abstract sui peggiori social? Naturalmente nulla: non resta nulla dei veri ideatori, dei ‘nativi’ innovativi. Mentre, nelle tasche dei mutanti, che hanno costruito carriere sui copia-copiella, e sugli appoggi esterni, restano i soldini, gli stessi che se spalmati in iniziative organiche potrebbero cambiare la storia di tanti, e che invece, messi su “eventi” di singolar tensione, fanno ricca la bisaccia dei parvenu.
Picasso ripeteva che i buoni artisti copiano, i grandi artisti rubano.
Sarà poi vero?