Tra i tanti misfatti di “cosa nostra” la strage di Via Mario D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta Agostino Catalano, ClaudioTraina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muti e Walter Cusina, è la più inquietante per depistaggi ed omissioni nelle indagini che ne seguirono.
Compiuta a Palermo il 19 luglio del 1992, circolano per le ricorrenze ufficiali più narrazioni mediatiche che acclarate verità sostanziali sull’accelerazione della sua esecuzione a distanza di 57 giorni dalla uccisione di Giovanni Falcone.
Dopo 29 anni permangono ombre di fatti inconfessabili per la presenza di uomini degli apparati dello Stato nello smarrimento della “agenda rossa” sulla quale Paolo Borsellino soleva appuntare impegni di lavoro e trascriverne ipotesi, argomenti e motivazioni. Se ne sono perse le tracce.
Era contenuta in una borsa in pelle e fu prelevata dall’autovettura squarciata dall’esplosione di una Fiat 126 imbottita di tritolo. Eppure sul prelievo ci sono documentazioni fotografiche e processi con sentenze, ma senza alcuna conclusione su conoscenza ed uso di notizie ed appunti in essa contenuti.
Le uniche certezze sono i depistaggi, come si puntualizza anche in una relazione redatta dalla Commissione regionale antimafia costituita presso l’ARS (Assemblea Regionale Siciliana). Perciò, si comprendono le astensioni dei familiari delle vittime dalla ricorrente retorica di Palazzo e la costanza di Salvatore Borsellino, fratello minore di Paolo, nel tenere accesi i fari sulla “agenda rossa” la cui lettura potrebbe fornire un “perché”, plausibile, che non c’è nelle carte dei quattro processi a uomini e cose finora celebrati sulla strage.
Saperne la destinazione non é una “follia” come rispose, allora, il Questore di Palermo Arnaldo La Barbera ad una specifica richiesta di Lucia, figlia maggiore di Paolo. Saperlo, ancora oggi, cancellerebbe il “puzzo” delle compiacenze, esalterebbe il “profumo” della legalità e restituirebbe dignità ed onore ad uomini ed apparati che hanno, per giuramento e per funzioni istituzionali, il dovere di investigare, giudicare e rendere giustizia e verità.
Nella “indifferenza” prevale e si coltiva “il puzzo del compromesso morale e della complicità” a scapito della “bellezza del fresco profumo di libertà”. Copywriter di Paolo Borsellino che non si risparmiò, anche nell’impegno civile, di denunziare devianze nella pubblica amministrazione, soprattutto negli Enti Locali, come terreno di vegetazione di fenomeni mafiosi.
Impegnato nella divulgazione della cultura della legalità, soprattutto tra i giovani, in ogni occasione insisteva sulla necessità che per battere “cosa nostra” non bastasse la “sola repressione” senza “la credibilità dello Stato” ed il recupero della “fiducia dei cittadini”.
Sono concetti, quest’ultimi, esternati, durante una sanguinosa guerra tra cosche, in un Convegno tenuto a Palermo, gennaio 1989, il cui audio, finora inedito, è stato rintracciato dal centro studi “Dino Grammatico” negli archivi dell’Istituto Siciliano Studi Politici ed Economici.