Caso Brusca, indignazione ed ipocrisia
Là scarcerazione di Giovanni Brusca ha suscitato diffusa indignazione nella gente ed ha evidenziato tanta ipocrisia nel mondo della politica.
Un pugno nello stomaco lo avverte chiunque alla notizia di fine pena, dopo 25 anni di detenzione, per chi ha confessato 150 omicidi, ha sciolto nell’acido un quindicenne ed ha azionato la leva della strage di Capaci.
Per quanto umanamente comprensibili, destano preoccupazioni le reazioni di coloro che danno sfogo a recriminazioni contro apparati dello Stato ed invocano la cancellazione della legislazione premiale e dei trattamenti riservati ai detenuti previsti dai codici vigenti.
Ci si aspettava sobrietà e ponderazione, meno demagogia ed onestà intellettuale da parte di chi esercita rappresentanza politica ed investitura a legiferare secondo i dettami della Costituzione sulla cui osservanza hanno prestato giuramento e non può essere invocata a tempo e piacimento.
Altra cosa sono la completezza delle informazioni rese da Brusca nelle sue confessioni sulla mafia e la sincerità del suo pentimento dai misfatti compiuti. In entrambi i casi si tratta di verità da accertare e di giudizi sospesi o anticipati da parte dei familiari delle vittime.
Al momento non si può sfuggire dal contributo, acclarato in sentenze, dato dai cosiddetti collaboratori di giustizia nella lotta dello Stato contro il terrorismo degli anni di piombo e contro “cosa nostra” nella versione stragista degli anni novanta del secolo scorso.
Permangono, ancora, ombre e dubbi su entrambi i fenomeni, i cui nodi non sciolti non sono (se ci sono) solamente nelle menti di coloro che hanno beneficiato della legislazione premiale ma, soprattutto, nel pettine di devianze che da più di mezzo secolo alimentano inchieste inconcludenti ed avvelenano il clima politico ed intellettuale del Paese.
Chi ha il dovere di coltivare l’etica delle responsabilità non può non avere conoscenza e coscienza delle motivazioni e dei tempi in cui sono maturate le risposte dello Stato, e non solo repressive.
Indignarsene oggi è puro moralismo, con l’aggravante di voler vendicare la memoria di Giovanni Falcone che di quella legislazione è stato ispiratore. Come dire: denigrato in vita e delegittimata la sua opera, post mortem. Il classico trattamento che la mafia riserva ai suoi nemici. Intelligenti pauca. Al di là della consapevolezza delle parole dette nel dibattito pubblico.