Con grande tempismo, domenica 9 maggio Papa Francesco ha proclamato Beato il Giudice Rosario Livatino, il “Giudice ragazzino” come è stato definito perché ammazzato dalla Mafia a soli 38 anni.
Nella stessa giornata è stata celebrata la Giornata della Memoria per le vittime della Criminalità, che quest’anno ha coinciso con l’anniversario della morte di Aldo Moro, trucidato e fatto trovare in Via Caetani a Roma, dove, nella stessa giornata il Presidente Mattarella si è recato a depositare una corona sulla targa che ricorda l’omicidio avvenuto esattamente il 9 maggio di 43 anni fa.
Qualcuno potrà obiettare che probabilmente le giornate della memoria sembrano troppe; ma il nostro paese è stato vittima di tanti avvenimenti, molti dei quali sono ancora matasse delle quali non si trovano i bandoli, vittima di organizzazioni criminali e terroristiche, lobby deviate, troppi misteri che solo ora, poco alla volta, dopo la liberalizzazione della documentazione riguardante i “Segreti di Stato”, potranno venire fuori.
Ma questo è un discorso che probabilmente tratteremo in un’altra occasione: ora desideriamo concentrarci sul Giudice Rosario Livatino, neo Beato, bel riconoscimento del suo impegno civile e religioso che ha sempre costituito il binomio sul quale si è basata la sua vita: si dice che sul suo tavolo di lavoro avesse, accanto al Codice, il Vangelo, un segnale visibile del suo impegno.
Una delle sue frasi che ci piace ricordare è: “Quando moriremo nessuno verrà a chiederci quanto siamo stati credenti, ma credibili”, e questa è la sintesi della sua vita.
Durante la solenne cerimonia della beatificazione, Papa Francesco ha detto che Rosario Livatino è stato “Martire della giustizia e della fede, un esempio di legalità per tutti”. E il Cardinale Semeraro, Prefetto delle Cause dei Santi, ha ricordato che Livatino morì perdonando i sui assassini, come fece Cristo sulla croce, quando chiese al Padre di perdonare i suoi aguzzini: “Perdona loro, non sanno quello che fanno”; questi sono i valori che distinguono i veri credenti dalla massa di coloro che si dicono tali, che sono sempre presenti nelle festività comandate, sempre ligi ai doveri imposti dalla Chiesa, ma appena fuori del tempio sempre pronti a criticare tutto e tutti, ipocriti mascherati da perfetti cristiani.
E l’Arcivescovo di Agrigento, Card. Montenegro, ha aggiunto “La Sicilia ancora soffre per la mentalità mafiosa, faccia tesoro della sua lezione”.
Rosario Livatino era nato a Canicattì (Ag) il 3 ottobre 1952, nella stessa città venne ammazzato il 21 settembre 1990, a soli 38 anni, inseguito e ucciso lungo la SS 640 che porta da Agrigento a Caltanissetta.
Livatino tentò di sottrarsi ai carnefici; colpito a una spalla alla guida della sua Ford-Fiesta rossa, tentò la fuga attraverso i campi, ma venne raggiunto e finito con un colpo di pistola in pieno volto.
Livatino era un giudice scomodo, la Mafia lo aveva nel mirino, il Questore aveva disposto un piano di protezione, ma egli lo aveva rifiutato per proteggere le vite degli agenti assegnati alla sua protezione.
Era stato uno studente brillante, e si era laureato col massimo dei voti e la lode all’età di 22 anni presso la facoltà di Giurisprudenza a Palermo. Poi vinse il concorso e divenne giudice a latere presso il tribunale di Agrigento.
Otto mesi dopo la morte del giovane giudice, l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga Francesco Cossiga, con qualche leggerezza, definì «giudici ragazzini» una serie di magistrati neofiti impegnati nella lotta alla mafia; ma dodici anni dopo, Cossiga smentì che quelle affermazioni fossero da riferirsi a Livatino, che invece definì “eroe” e “santo”.
Papa Giovanni Paolo II Giovanni Paolo II lo definì «martire della giustizia e indirettamente della fede».
Dell’omicidio del giudice, successivamente e grazie al supertestimone Pietro Ivana Nava, vennero individuati gli esecutori e i mandanti, condannati all’ergastolo.
Gli assassini costituivano un commando formato da quattro ventenni della cosiddetta “stidda”, cioè l’associazione mafiosa che, secondo i magistrati, si contrapponeva a Cosa Nostra.
Livatino venne ucciso perché “perseguiva le cosche mafiose impedendone l’attività criminale, laddove si sarebbe preteso un trattamento lassista, cioè una gestione giudiziaria se non compiacente, almeno, pur inconsapevolmente, debole, che è poi quella non rara che ha consentito la proliferazione, il rafforzamento e l’espansione della Mafia”: così è scritto nella sentenza che ha condannato gli assassini.
Il giudice Livatino in una sua memoria avrebbe scritto: “L’indipendenza del giudice … non è solo nella propria coscienza, nella incessante libertà morale, nella fedeltà ai principi, nella sua capacità di sacrifizio, nella sua conoscenza tecnica, nella sua esperienza, nella chiarezza e linearità delle sue decisioni, ma anche nella sua moralità, nella trasparenza della sua condotta anche fuori delle mura del suo ufficio, nella normalità delle sue relazioni e delle sue manifestazioni nella vita sociale, nella scelta delle sue amicizie, nella sua indisponibilità ad iniziative e ad affari, tuttoché consentiti ma rischiosi, nella rinunzia ad ogni desiderio di incarichi e prebende, specie in settori che, per loro natura o per le implicazioni che comportano, possono produrre il germe della contaminazione ed il pericolo della interferenza; l’indipendenza del giudice è infine nella sua credibilità, che riesce a conquistare nel travaglio delle sue decisioni ed in ogni momento della sua attività”.
Insegnamento che fa a pugno con i comportamenti di taluni Magistrati, vedasi il caso Palamara e i collegamenti col caso Amara.
Nel 1992 Nando dalla Chiesa, figlio di Carlo Alberto dalla Chiesa Carlo Alberto dalla Chiesa, scrisse su Rosario Livatino il libro intitolato “Il giudice ragazzino”; nel 1994, il Regista Alessandro Di Robiland girò un film, tratto da quel libro, al quale diede lo stesso titolo.
Nel 2006 venne realizzato il documentario “La luce verticale” che promuoveva la causa di beatificazione.
Nel 2016 Davide Lorenzano ha realizzato un nuovo documentario intitolato “Il Giudice di Canicattì”.
Il processo di beatificazione di Livatino è iniziato ufficialmente il 21 settembre 2011, nel 21° anniversario della sua morte, e si è concluso 9 maggio 2021.
Questo evento fa venire alle orecchie, ancora attuale, la implorazione, quasi un urlo, di Papa Giovanni Paolo II rivolto ai mafiosi: “Convertitevi!”.
E tale esortazione fa venire in mente anche il grido di dolore di Rosaria Schifani, moglie di uno degli agenti della scorta del Giudice Giovanni Falcone, tra le vittime della strage di Capaci del 23 maggio 1992, la quale, durante il rito funebre, rivolta agli assassini, gridò piangendo: “Io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare… Ma loro non cambiano… loro non vogliono cambiare…”.
Ancora oggi quel grido di dolore fa venire i brividi.