Nelle dichiarazioni di Nicola Zingaretti sulla “rigenerazione” del PD ed in quelle di Luigi Di Maio sulla “evoluzione” del M5S ci sono sia segnali di autocritica che di ricerca di nuovi approdi.
Al momento non è decifrabile se si tratta di semplici riposizionamenti di geografia parlamentare o di ripensamenti di cultura politica. Sulle relative traiettorie incombono l’andamento e l’esito del Congresso del PD e l’avvento dell’ex Premier Giuseppe Conte per la leadership del M5S.
Il travaglio, presente in entrambe le formazioni partitiche, è più profondo e traumatico nell’universo pentastellato nel quale è in atto la diaspora dei nostalgici del “V-day” e del “mai con” che contestano la nuova alleanza di Palazzo Chigi e non condividono appieno la prospettiva “moderata e liberale” prefigurata da Di Maio.
Sono inquietudini che vanno al di là delle vicende interne alla forza politica più rappresentata in Parlamento e rimettono in discussione le stesse motivazioni del consenso riscosso dal Movimento nel 2018.
Le conseguenti ricadute, più che incidere sugli equilibri su cui si regge il Governo del Premier Mario Draghi, liberano una consistente quota di risorse elettorali, stante il ridimensionamento del M5S sceso al 15/16% di consensi stimati nei sondaggi rispetto al circa 33 per cento conseguito nelle elezioni per la legislatura corrente.
La loro disponibilità fa gola al altre rappresentanze politiche e può essere attratta da destra come da sinistra.
Sul punto si spiega la carta della discesa in campo di Conte, non solo per bloccare le fughe, e se ne capisce, anche, il senso di rivalsa personale di mettersi alla guida di un Movimento fatto proprio, accreditato, come attore e non ospite, nel salotto buono delle alleanze cosiddette moderate.
Sullo sfondo è plausibile vedere nel PD ripensamenti sulla natura dell’elettorato pentastellato come “costola della sinistra”: fu detto in altra epoca per la Lega nord per sottrarre consensi al centrodestra guidato da Silvio Berlusconi e ripescato in questa stagione per fare fronte al nuovo sodalizio che ha per protagonisti Matteo Salvini e Giorgia Meloni, nonostante le diverse posizioni assunte nei confronti del Governo Draghi.
Nelle intenzioni di voto rilevate da diversi istituti di ricerche demoscopiche il centrodestra è dato per vincente su un centrosinistra abbastanza distanziato senza apporti pentastellati. L’autonomia identitaria o strumentale di movimenti spontanei dal basso rappresenta ancora una volta come problema per l’egemonia della sinistra nella politica di casa nostra…
In uno scenario in evoluzione, cambiando i paradigmi dell’offerta e dell’organizzazione poste in essere dai partiti, è prevedibile che la decantazione dell’esperienza del Governo Draghi possa dare luogo ad “una sorta di Big bang”, secondo l’auspicio ragionato del sondaggista Nando Pagnoncelli, che sulla edizione del Corriere della Sera di ieri da in calo PD, M5S e FI, la Lega stazionaria, in crescita FdI e stima fiducia ai massimi per il Governo.