scritto da Eugenio Ciancimino - 27 Gennaio 2021 09:43

Crisi aperta, si aspetta outing di Conte e Renzi

Il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Ugo Zampetti comunica le dimissioni del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte (foto di Francesco Ammendola – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Tanto tuonò che piovve. Dopo la risicata fiducia raccattata al Senato per il Premier Giuseppe Conte è arrivato il momento di decidersi a rassegnare le dimissioni.

Se ne è reso conto dopo avere tentato di recuperare il sostegno di un maggior numero dei cosiddetti “responsabili”.

I tempi supplementari non gli sono bastati per superare lo scoglio del voto sulla relazione del Ministro Alfonso Bonafede sulla Giustizia. Un argomento non declinabile con il semplice richiamo alle parole che avrebbero dovuto configurare i confini del suo progetto politico: europeista, liberale e socialista.

Non ha funzionato l’accattivante semantica per comporre un puzzle di contraddizioni: non tutti i potenziali “volenterosi”, anche diversamente “liberali e socialisti”, sono disponibili a rinunziare e/o barattare sui valori che fanno parte di un bagaglio di culture politiche non intercambiabili o sommabili a seconda delle circostanze.

E’ il nodo di questa legislatura nella quale non si é riusciti a trovare un assetto, al di là delle intenzioni di ridurre un programma di governo ad un contratto di lavoro o di impresa tra partner garantiti da un amministratore unico estraneo al mondo della partitocrazia.

Si tratta di un difetto di origine che ha pesato sulla nascita e la fine degli esperimenti uno e due dei Governi Conte compartecipati prima da M5S e Lega e poi da M5S, PD, IV e LEU. La questione di compatibilità di prospettive si pone anche per un possibile terzo esperimento per il quale Conte intende cimentarsi.

Sul punto è difficile immaginare una ricucitura tra Conte che ha detto “mai più con Matteo Renzi” e questi che, a sua volta, ha definito Conte “un vulnus per la democrazia”. Si dice che in Politica tutto può succedere e mai dire mai. Senza un outing di entrambi sulle “ragioni nascoste della crisi” analizzate lunedì sul Corriere della Sera da Federico Fubini, a proposito della gestione e governance del Recovery plan (ed è ciò che interessa agli italiani), non si capisce come si possa riaprire una nuova stagione di relazioni più coese e trasparenti.

L’alternativa è come rendere presentabili in termini di dignità politica i “volenterosi” senza partito o disponibili a lasciare quello d’origine, che nella prassi parlamentare della prima Repubblica erano ritenuti dei “cani sciolti”. Absit iniuria verbis.

Il perno della situazione è se per il M5S, partito più rappresentato in Parlamento, la figura di Giuseppe Conte è insostituibile e fino a che punto il PD sia disponibile ad assecondarne la continuità.

Altre soluzioni, al momento, appaiono come pure esercitazioni accademiche, fino a quando non si manifestano scelte e riserve da parte del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Non solo sulla composizione di maggioranze numeriche. Si spera.

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