Quando ho avuto la triste notizia della morte del Prof. Eugenio Falsetti, ho pianto come se fosse venuto a mancare un padre, un familiare adorato, una delle persone uniche che, quando hai il privilegio di conoscere, non le dimentichi più.
Questa storia probabilmente l’ho già raccontata, ma desidero farlo un’ultima volta per rendere omaggio a questo grande uomo, grande professionista, un calabrese, nativo di Fiumefreddo Bruzio in provincia di Cosenza, che ha dato lustro, come tanti, alla sua regione e all’intero meridione.
L’avevamo conosciuto nel 1988 allorquando una grave malformazione emerse, nell’età dello sviluppo, ad una carissima familiare, e tutti i medici e gli specialisti locali non riuscivano a dare una risposta.
Tramite una cara familiare farmacista, recentemente scomparsa, entrammo in contatto con Eugenio Falsetti, allora primario della facoltà di Endocrinologia, Ostetricia e Ginecologia, degli Spedali” (così lì si chiamano) di Brescia.
Il prof. Falsetti, con il quale ci fu un primo contatto telefonico, si informò del problema, capì immediatamente la patologia, si rese conto della distanza e per evitare i disagi di più viaggi, già telefonicamente prescrisse tutte le analisi da fare.
All’esito delle quali, diede un appuntamento presso il suo studio privato, prevedendo un immediato ricovero presso il suo Dipartimento ospedaliero dopo la visita, fissata per il pomeriggio; abituati alle nostre usanze, gli chiedemmo qualche delucidazione; ci rassicurò che avrebbe provveduto a tutto, compreso il ricovero presso il suo dipartimento, e non ci saremmo dovuti preoccupare di nulla.
Quando ci presentammo al suo studio nel primo pomeriggio, il prof. Falsetti al vedere la ragazza sulla porta, anticipò la diagnosi; i risultati degli accertamenti di laboratorio la confermarono, telefonò al suo reparto per annunciare il ricovero.
Giungemmo in ospedale alle prime ore della sera; entrammo in un salone enorme, tutto marmi, alle pareti decine di quadri degli illustri medici deceduti; c’era un silenzio assoluto, abituati agli squallidi e tumultuosi ambienti dei nostri ospedali sembrava trovarsi in una clinica di gran lusso.
Al reparto era già pronta la stanza per il ricovero, a quell’ora era ancora aperta l’accettazione e non ci fu nessuna difficoltà burocratica.
Quando la ragazza venne accompagnata alla stanza, i familiari si preoccuparono per la compagnia notturna; la cortesissima infermiera li tranquillizzò, non era necessaria alcuna compagnia, la struttura la prendeva in completo carico, e lei si sarebbe personalmente occupata di assisterla.
Sembrava di essere in un mondo diverso.
Terminato dopo qualche giorno la degenza, venimmo ricevuti nello studio del Primario Falsetti il quale prescrisse una terapia di alcuni mesi, dopo la quale indicò le analisi di laboratorio da fare che avrebbe visto in un successivo incontro.
Dopo la cura e le analisi, recatici nuovamente al suo studio privato, prima di ogni altra cosa confortò i genitori.
“Guarda i tuoi genitori come si disperano -disse rivolto alla ragazza- devi essere tu a confortarli con il tuo affetto, e se seguirai scrupolosamente le mie prescrizioni, ti rimetterai”.
Alla fine della visita ci accingemmo a mettere mani al portafogli.
“Per carità -fece il prof. Falsetti- nulla mi dovete, siete stati qui solo per farmi vedere le analisi e l’esito della cura”.
Un episodio indimenticabile, uno dei tanti vissuti successivamente in quanto oltre trentacinque anni è durato il rapporto con questo grande professionista, uomo prima che specialista, che non disdegnava di ricevere la ragazza e i familiari anche nella sua abitazione di Fiumefreddo Bruzio nel periodo estivo.
Alla notizia della sua morte, ho ricordato la frase con la quale Ernest Hemingway introduce il suo romanzo del 1940 “Per chi suona la campana”, dal quale poi venne tratto, nel 1943, l’omonimo film interpretato da Ingrid Bergman e Gary Cooper.
Hemingway introduce il romanzo con l’aforisma “non chiedere per chi suona la Campana essa suona per te”, tratto da una poesia di John Donne (Londra,1572-1631), poeta amoroso e predicatore chierico, il cui testo è illuminante.
“Nessun uomo è un’Isola, intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente, una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall’onda del Mare, la Terra ne è diminuita, come se un Promontorio fosse stato al suo posto, o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d’uomo mi diminuisce, perché io partecipo all’Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana: essa suona per te”.
La morte di ciascun uomo rappresenta anche la morte di un pezzetto di tutti noi, la morte di Eugenio Falsetti rappresenta la morte di una gran parte di me.